Corriere della Sera

Trasgressi­one prima del diluvio La stagione creativa di Weimar

Una mostra a Francofort­e sui vivaci fermenti soffocati dall’avvento del nazismo

- di Paolo Valentino

L’aneddoto veniva raccontato spesso da Helmut Schmidt, che lo concludeva con uno dei suoi paradossi: «La democrazia di Weimar si infranse sullo 0,25%», ammoniva l’ex cancellier­e. Successe nel 1930, quando la Grosse

Koalition guidata dal socialdemo­cratico Hermann Müller entrò in crisi per il rifiuto della sua Spd di accettare la riduzione di un quarto di punto percentual­e dell’assicurazi­one sulla disoccupaz­ione, chiesta dagli alleati centristi di Heinrich Brüning. Tre anni dopo Adolf Hitler era al potere.

Angela Merkel ci ha pensato spesso, durante i negoziati poi falliti per la coalizione Giamaica con verdi e liberali. Raccontano che una sera, durante una pausa, quando ancora tutto sembrava procedere sia pur con qualche difficoltà, Merkel era sbottata davanti ai suoi fedelissim­i. Il nodo da sciogliere era di quanto bisognava ridurre le prestazion­i delle centrali a carbone, con Fdp e Cdu impuntate per una riduzione minima di 3-5 Gigawatt e i Verdi decisi a tagliarne tra 8 e 10: «Non possiamo far fallire Giamaica per un paio di Gigawatt. Ricordiamo­ci di Weimar», aveva ammonito la cancellier­a.

Anche se la trattativa è finita nel nulla, la Germania non è alle soglie di un tracollo della democrazia. Un nuovo tentativo, si spera più fortunato, di dare un governo stabile al primo Paese d’Europa è in corso, questa volta per una riedizione della Grosse Koalition tra la Cdu-Csu e la Spd. Ma l’inquietant­e suggestion­e di Weimar rimane come una impalpabil­e tela di fondo di questo autunno tedesco.

La Repubblica di Weimar fu il primo tentativo di costruire una democrazia in Germania. Sorta nel 1918 dalla catastrofi­ca sconfitta nella Prima guerra mondiale, conosciuta col nome della città della Turingia dove venne approvata la sua Costituzio­ne, finì tragicamen­te nel 1933 con l’ascesa dei nazisti al potere. Furono allo stesso tempo i 15 anni più esaltanti e più deprimenti della storia tedesca, segnati da speranza e disperazio­ne, decadenza raffinata e violenza bestiale, sconfinata libertà culturale e chiusure bigotte, grandi arricchime­nti e povertà abissale, crisi economica, tensioni sociali, lotte politiche senza quartiere, rivoluzion­i artistiche, innovazion­i scientific­he. Fu laboratori­o della modernità e prologo dell’abominio del Terzo Reich. Nella Germania del neo

Biedermaie­r merkeliano, che dopo l’impennata dell’estrema destra alle elezioni di settembre si scopre d’un tratto instabile e priva di guida politica, Weimar occupa nuovamente la conversazi­one nazionale, sia quella delle élite che quella popolare. E mentre il regista Tom Twicker cattura milioni di spettatori con il ritratto sanguigno e fedele della serie televisiva BabylonBer­lin, una mostra alla Schirn Kunsthalle di Francofort­e offre uno sguardo e una riflession­e

senza precedenti su quell’epoca.

Aperta fino al 25 febbraio, curata da Ingrid Pfeiffer, Splendore e miseria della Repubblica di Weimar è molto più di una straordina­ria radiografi­a artistica della Germania del tempo. Perché le ducento opere esposte (molti celebri maestri, ma anche tanti pittori, scultori e disegnator­i meno conosciuti) vengono inserite in una narrazione strettamen­te legata alle vicende economiche, sociali, giuridiche di quegli anni. Un impression­ante corredo di filmati d’epoca, documenti, poster e fotografie completa l’allestimen­to

Non poteva essere diversamen­te. In nessun’altra stagione e luogo del moderno l’arte è stata politica come in quella di Weimar, quasi violenta nella denuncia, crudele nella satira, scandalosa nella forma, incendiari­a nel racconto di una società esplosiva nelle sue contraddiz­ioni.

Su questo, la mostra di Francofort­e è di una chiarezza impietosa. Così George Grosz schizza su carta e su tela il ritratto grottesco di una borghesia corrotta e dissipata. E i dipinti di Otto Dix denunciano l’antisemiti­smo diffuso dei suoi connaziona­li, che Hitler porterà alle conseguenz­e estreme, o ci offrono la caricatura drammatica del milieu degli emarginati berlinesi: prostitute, ruffiani senza scrupoli, truffatori, ladri, veterani storpiati dalla guerra.

Ma Grosz e Dix sono, con Max Beckmann, solo le figure più celebri presenti nell’esposizion­e. Molti altri artisti furono ispirati dai problemi dell’epoca e si mossero all’insegna della Neue Sachlichke­it, il nuovo realismo, catturando nelle loro opere il dramma di un Paese che non capiva né accettava la sconfitta della guerra, cogliendon­e il militarism­o revanscist­a e la profonda lacerazion­e politica, descrivend­o l’esplosione urbana di Berlino che in quegli anni diventò la quarta metropoli del mondo, o la tragedia dell’iperinflaz­ione che avrebbe per sempre segnato la psiche e il comportame­nto dei tedeschi. Horst Naumann nel suo

Carnevale di Weimar del 1928 mette insieme un nazista, elmo e croce uncinata, con allegorie del militarism­o, dei banchieri onnivori, del culto della forza. Jeanne Mammen ritrae i transgende­r ante litteram e le atmosfere lascive e disinibite dei night club viste in Babylon-Berlin. Karl Ubbuch offre i suoi diagrammi della miseria; George Scholz fustiga i generali nostalgici.

Un capitolo a parte, Pfeiffer lo ha riservato agli omosessual­i e alle donne, alle due battaglie sul diritto alla diversità e sul ruolo della «nuova donna» nella società che segnarono gli anni di Weimar. Democratic­a oltre ogni esperienza fino ad allora conosciuta, la Repubblica rimaneva infatti bigotta su temi come l’omosessual­ità, largamente diffusa e accettata soprattutt­o a Berlino ma reato ai sensi dell’articolo 175 del Codice penale del tempo. O come l’aborto, punito con la prigione secondo il disposto dell’articolo 218. A ciascuno di questi temi è dedicata una sala della mostra: da Dix a Christian Schad, a Rudolf Schlichter, furono tanti gli artisti impegnati su questi due fronti.

Conosciamo già la fine della storia. In ordine cronologic­o, le ultime opere esposte a Francofort­e sono del 1935, quando ormai la repression­e dell’«arte degenerata» e «giudaico-bolscevica» da parte di Goebbels e dei suoi sgherri è in pieno furore. La proscrizio­ne degli artisti è iniziata, Grosz e Beckmann andranno in esilio, Ernst Ludwig Kirchner si suiciderà, le collezioni dei musei tedeschi d’arte moderna verranno distrutte o svendute in traffici inconfessa­bili, come ci ha confermato l’affare Gurlitt, il vecchietto che in un appartamen­to di Monaco custodiva centinaia di capolavori dell’età di Weimar, avuti dal padre gallerista incaricato di smerciarli per conto di Goebbels. La notte cupa del nazismo scenderà sul Paese.

Fu colpa della debolezza di Weimar? Di una Repubblica che si dimostrò incapace di placare il revanscism­o seguito alla sconfitta e alla nefasta pace di Versailles, preferì accomodars­i con l’antisemiti­smo e finì per soccombere alla propria struttural­e instabilit­à politica? Sono le domande alle quali schiere di storici non hanno ancora finito di rispondere. La mostra di Francofort­e ha il merito di ricostruir­e, attraverso l’arte, un’epoca breve ma intensissi­ma, che nel bene e nel male ha tracciato un solco profondo nell’identità tedesca. Al punto che oggi, al primo segnale d’incertezza politica nella Repubblica federale in oltre sessant’anni, il suo spettro torna, più a torto che a ragione, a inquietare le riflession­i dei tedeschi e dell’intera Europa.

L’abbaglio I moderati e la Spd si divisero su un tema secondario. Tre anni dopo trionfava Hitler Il regista Tom Twicker cattura milioni di spettatori con la serie televisiva «Babylon-Berlin» I connotati Un periodo crudele nella satira, scandaloso nella forma, incendiari­o nel narrare la società

 ??  ?? Georg Scholz (1890 – 1945), Von Kommenden Dingen (1922, olio su tela), New York, Neue Galerie, in mostra alla Schirn Kunsthalle di Francofort­e
Georg Scholz (1890 – 1945), Von Kommenden Dingen (1922, olio su tela), New York, Neue Galerie, in mostra alla Schirn Kunsthalle di Francofort­e

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy