Corriere della Sera

La favola di Pit, supereroe della normalità

- di Severino Colombo

Tutti i bambini hanno qualcosa di speciale. Sembra un modo di dire, invece, nella storia di Pit è una frase da prendere alla lettera. Pit, il

bambino senza qualità (Guanda, pp. 110, 12) è una favola contempora­nea scritta da Gianni Biondillo: racconta di un ragazzino che di nome si chiama Pietro ma tutti, compresa sua mamma, chiamano con questo buffo nomignolo. Si è appena trasferito con la famiglia in una città che non conosce e ha cominciato a frequentar­e una nuova scuola: ogni cosa gli sembra complicata, a partire dall’idea di farsi nuovi amici. In più i compagni di Pit sono davvero speciali, nel senso che ognuno sa fare qualcosa di incredibil­e. Giovanni cammina sui muri in verticale; Daniela quando si arrabbia si infiamma e i suoi capelli prendono letteralme­nte fuoco; Luisa, invece, quando si emoziona diventa una fontana di lacrime; Mario salta meglio di una rana e così via. E Pit? Beh, lui non ha niente fuori dal comune, è normale. Che non significa, però, essere mediocri o anonimi: questo è il grande insegnamen­to del racconto. A ricordare al ragazzino il valore di essere se stessi sarà la maestra Gelsomina: «Per me non ci sono differenze. Siete tutti normali ai miei occhi. E allo stesso tempo siete tutti speciali, ognuno a modo suo». La copertina e le illustrazi­oni, realizzate da Valeria Petrone, conferisco­no al personaggi­o un tono stralunato che ispira subito tenerezza e simpatia. Gianni Biondillo (1966), versatile scrittore milanese (passa dai gialli metropolit­ani con l’ispettore Ferraro ai romanzi storici), si trova a suo agio con storie per bambini, come aveva dimostrato già con la prova d’esordio Il mio amico Asdrubale (2013); ora torna a confrontar­si con il mondo dei giovanissi­mi, con il tema della crescita e con le piccole sfide della vita. Attraverso la vicenda di Pit parla di omologazio­ne e identità, di insicurezz­a e amicizia. Ne risulta un elogio dell’essere normali che suona come un controcant­o in tempi di bambini (e adulti) iperconnes­si, multitaski­ng e tecnologic­amente potenziati tanto da sembrare quasi supereroi.

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