Corriere della Sera

Papà Meo sfida Brian «Di basket ne capisci di musica proprio zero»

- Roberto De Ponti

Romeo Sacchetti L’ho cazziato pure troppo Quando l’ho escluso dalla Nazionale mia moglie mi ha spedito a cena da solo Brian Sacchetti Sono sempre il figlio di, all’inizio mi dava fastidio, ora non ci faccio più caso e colgo il lato positivo

«È un bravo ragazzo, lo dico da padre e da allenatore. Solo di una cosa è impossibil­e discutere con lui: di musica. Abbiamo gusti completame­nte differenti». «Papà, tu ascolti roba dei tuoi tempi, a me piace qualcosa di un po’ più duro, i Metallica, gli Iron Maiden...». «Bah, io preferisco un rock classico, tu certi complessi... io dico che è solo rumore». «E se lo dici tu, papà...».

Tu chiamalo se vuoi scontro generazion­ale. Tra Romeo Sacchetti detto Meo, 64 anni dedicati alla pallacanes­tro, e il figlio Brian, 31 vissuti con la stessa identica passione di papà, gli incroci sono obbligati. Fin da quando, a 4 anni appena compiuti, il piccolo Brian non credeva di poter vedere un uomo grande e grosso come papà piangere dopo una partita di basket. Era il 24 maggio 1990, in gara 2 tra Varese e Pesaro il ginocchio di Meo era appena andato a pezzi, e con esso il sogno di poter vincere uno scudetto. Una volta a casa, Brian allacciò le braccia attorno a papà e per provare a consolarlo gli disse: «Vedrai che lo scudetto te lo regalerò io». Lo accontentò 25 anni dopo, conquistan­do una prima volta per tutti: per sé da giocatore, per papà da allenatore, per Sassari e la Sardegna. Una piccola dinastia del basket.

Sacchetti padre oggi allena Cremona. E la Nazionale. Sacchetti figlio gioca a Brescia. E in Nazionale, dove il padre l’ha fatto esordire a novembre contro la Croazia. Oggi i due si incroceran­no di nuovo, avversari per 40 minuti. «Ormai ci siamo abituati, vero papà? Però dire che sarà una partita come le altre questo no, non posso dirlo, anche se ormai ci ho fatto il callo. Trovarselo sulla panchina avversaria fa sempre un certo effetto». E trovarsi il proprio figlio in campo da avversario com’è, coach? Meo: «Lo valuto come un avversario, lo conosco nel bene e nel male, lui legge la pallacanes­tro e in momenti chiave sa fare cose utili per la squadra. Il mio ruolo in panchina è cercare di neutralizz­arlo, poi se gli vedo fare una cosa bella in campo il mio cuore di papà è contento, anche se alla fine devo provare a vincere io». E ritrovarvi insieme in Nazionale com’è stato? Brian: «Io ero più emozionato per lui che per me. Ho pensato: devo dare una mano a papà a fare bella figura». Meo: «Dice così, ma era più emozionato lui. Poi ha giocato pure bene...». Brian: «...e tu papà me l’hai detto a fine partita abbraccian-

domi. Poi hai aggiunto: certo che se segnavi anche quei due tiri liberi era meglio...». Meo: «Certo che era meglio! Avevamo il 100 per cento!».

suoi Coach, giocatori come in li chiama i allenament­o?

Meo: «Per nome, se riesco, se non me lo ricordo uso il cognome». E Brian come lo chiama? Meo: «In tutte le maniere, ogni tanto faccio confusione e lo chiamo Tommy, come il fratello». Brian: «Papà, hai provato anche a chiamarmi Alice!...». Meo: «...come l’altra figlia, quella che sta in Finlandia. Capita, che posso farci?...».

Le ha perdonato di averlo chiamato Brian?

Meo: «Prima ho dovuto farmi perdonare da mia moglie Olivia. Questo qui doveva essere una femmina, poi quando è arrivata l’ostetrica ci ha detto “guardate che bel maschietto”. Quando chiesi a Holly come dovevamo chiamarlo, probabilme­nte era ancora un po’ confusa e mi disse “fai quello che vuoi”. Allora ho scelto Brian, come Brian Winters, un tiratore super. Fuori dall’ospedale, mia moglie pensava ancora l’avessi chiamato Simone. Quando l’ha scoperto, mi ha minacciato: “Te lo porto via!”. Ma ormai era già registrato all’anagrafe...».

Brian: «Comunque a me il nome Brian alla fine piace!».

Più difficile fare cazziatoni a un giocatore qualsiasi o al proprio figlio?

Meo: «Lui è il giocatore che ne ha subiti più di tutti, perché gli ho sempre concesso meno di quello che concedo agli altri. Lui lo sa, spero di avergli fatto un po’ di scorza. Però alle volte anche lui ha una bella testa dura...».

Quando è riuscito a smarcarsi dal fatto di essere il figlio di Sacchetti?

Brian: «Non mi sono ancora smarcato del tutto, sinceramen­te. Pago ancora quest’aura di essere il figlio di, ma ormai non ci faccio più caso. Prima mi dava fastidio, ora invece mi sono abituato e la prendo come una cosa positiva».

Meo: «Parliamone, di questa cosa. Quando l’ho convocato in Nazionale, tutti a dire che l’avevo convocato perché è mio figlio. Quando l’ho escluso con la Romania tutti a chiedermi perché l’ho lasciato fuori. La verità è che in Italia nessuno è mai contento di nulla...». Sua moglie tifa per lei o per suo figlio? Meo: «La sera che ho deciso che avrei lasciato Brian in tribuna, ho chiamato Holly per chiederle se uscivamo a mangiarci una pizza. Gelo assoluto, sapeva già tutto. “Resta pure a cena in albergo”, mi ha risposto». Brian: «Mamma capisce di basket più di noi due!» (risata). Meo: «Sicuro? Ne riparliamo dopo la partita». E nemmeno hanno discusso di musica...

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(Ciamillo Castoria, LaPresse) In famiglia Romeo Sacchetti, 64 anni, coach di Cremona e della Nazionale, e Brian, 31, giocatore di Brescia e della Nazionale
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