Migliaia di «bombe viaggianti»
IL DOSSIER LA SICUREZZA
Chi non ha mai sorpassato un camion-cisterna guardandolo con preoccupazione?
Su quello dello spaventoso incidente di ieri c’erano i pannelli di pericolo per indicare il tipo di materiale trasportato, il grado di infiammabilità, il codice della sostanza. C’era (salvo irregolarità) un conducente con patente speciale, che per guidare quel mezzo e trasportare quella sostanza ha dovuto seguire un corso di abilitazione particolare, studiare i pericoli associati alla merce e sapere come reagire in una situazione di emergenza.
Insomma: c’era tutto quel che serve secondo l’accordo Adr, cioè le norme internazionali che regolano il trasporto di merci pericolose su strada.
Eppure è successo lo stesso. La cisterna squarciata, il gasolio che ha preso fuoco, i sei morti...
Sono migliaia le potenziali «bombe» in viaggio lungo la nostra rete stradale o ferroviaria. Nel 2016 sono stati registrati 3,4 milioni di viaggi, di tir immatricolati in Italia, per trasportare da qualche parte merce pericolosa. L’ultima volta che l’argomento ha tenuto banco nelle cronache è stato nel 2009, quando esplose il carro-cisterna di gpl davanti alla stazione di Viareggio. In quel caso i morti furono 32 e si stimò che ogni anno in Italia viaggiassero (fra strade, ferrovie e per mare) 220 milioni di tonnellate di merce a rischio.
Il caso di ieri costringe a puntare i riflettori sui trasporti stradali. «Ma il problema non è la sicurezza dei mezzi che portano le merci da un punto all’altro né la preparazione di chi li conduce» riflette Alfonso Simoni, ingegnere del ministero dei Trasporti ed esperto di carichi pericolosi su gomma. «Il problema principale è la circolazione stradale. La sicurezza dei mezzi che trasportano quel tipo di merci è molto elevata — dice Simoni — e anche il numero degli incidenti nei quali sono coinvolti è basso. Le regole dell’Adr sono rigidissime, tengono conto di tutte le possibili analisi di rischio e sono studiate anche in base ai progressi tecnologici di materiali e mezzi di trasporto. Poi c’è l’imponderabile...».
La parola d’ordine è: mitigare il rischio. Ma, come sempre, il rischio zero non esiste e la verità è che quel che è successo ieri a Brescia potrebbe accadere di nuovo oggi da qualche altra parte perché anche oggi, come sempre, saranno migliaia le cisterne in viaggio cariche di sostanze infiammabili, tossiche, esplosive o aggressive (come gli acidi).
Per dirla con Simoni, «bisognerà pur trasportare i materiali classificati come pericolosi altrimenti, per fare un esempio, come le riscaldiamo le case nelle nostre città? Come facciamo arrivare la benzina o il gasolio nel distributore del paesino di montagna?».
Nei «cilindri» d’acciaio che si muovono da un punto all’altro dell’Italia si trasportano merci a rischio come gasolio (che tra l’altro è fra i meno pericolosi in termini di infiammabilità), benzina, gas che servono per la produzione industriale (per esempio per produrre plastiche), gas metano, gpl, sostanze chimiche, radioattive oppure materiali esplosivi (in questo caso viaggiano su autocarri e possono essere usati per la costruzione di gallerie, nelle miniere o per realizzare oggetti esplosivi).
L’ingegner Giuseppe Romano, direttore centrale per l’emergenza e il soccorso tecnico dei Vigili del fuoco, coordinò le operazioni di emergenza a Viareggio. «Lì fu una situazione davvero molto complicata e rischiosa per tutti» ricorda. L’incidente di ieri in autostrada in teoria non partiva da una base di rischio elevata come sarebbe stato se si fosse trattato di gpl. «Una cisterna di gasolio non scoppia» valuta l’ingegnere. E aggiunge: «Il gasolio non prende fuoco a temperatura ambiente né se ci avvicini un fiammifero, non è come i vapori di benzina che invece prendono fuoco con un minimo innesco». Quindi? «Quindi premesso che saranno le indagini a stabilire la dinamica di quello che è successo esattamente, quello che si può dire adesso è che il gasolio per prendere fuoco ha bisogno del contatto con qualcosa di molto caldo». Per esempio il motore dell’auto che stava sorpassando, è una delle prime ipotesi ancora tutte da verificare.
Il fumo nero che si è alzato dalla cisterna in fiamme indica il tipo di calore sprigionato. Il dottor Romano spiega che «più è nero il fumo, più è alto il calore irradiato» ed è per questo che il cavalcavia all’altezza dell’incidente è stato chiuso. Una precauzione: per capire se ha subito un danno termico che ha compromesso la sua stabilità.