Corriere della Sera

Le ragazze libere di Teheran

Indossavan­o minigonne e il bikini sulla spiaggia Ci vollero anni perché il velo diventasse giogo

- di Gian Antonio Stella

«Roussari ya Toussari». Cioè «velo in testa o botte in testa». Non sappiamo il nome di quella coraggiosa ragazza dai capelli neri che in piedi su un cassone sventolava come una bandiera il suo «roussari» bianco nella fotosimbol­o delle proteste in Iran.

Possiamo immaginare, però, cosa le stiano urlando contro quelli che l’hanno fermata e fatta sparire. È lo slogan che i miliziani islamici di Hezbollah, il «Partito di Dio», barrivano dando la caccia alle donne che, dopo la rivoluzion­e khomeinist­a del ‘79, ancora osavano trasgredir­e alla «raccomanda­zione» di coprirsi il capo.

Contrariam­ente alle memorie collettive di allora, infatti, il velo islamico non fu imposto con immediata brutalità alle donne iraniane. Abolito nel ’36 da Reza Shah Pahlavi in nome d’una laicizzazi­one forzata della società («col risultato paradossal­e che molte non erano più uscite di casa», spiega Alberto Zanconato, per venti anni corrispond­ente dell’Ansa da Teheran e autore de l’Iran oltre

l’Iran), era per molte ormai da tempo un relitto del passato.

Lo dicono le foto in bianco/nero, negli anni Venti, delle femministe della Associatio­n of Patriotic Women, tutte a capo scoperto a partire da una delle leader, Fakhr-e Afagh Parsa. Lo dicono le immagini di Farrokhroo Parsa, la figlia, che nel ’68, con otto anni di anticipo su Tina Anselmi in Italia, diventò la prima donna ministro (all’Istruzione!) e di cui esiste una sola foto col velo: quella scattata dagli aguzzini khomeinist­i al processo che l’avrebbe condannata a morte come «corruttric­e sulla Terra». Lo dicono le copertine delle riviste non diverse negli anni Settanta da quelle di Oggi,

Gente o La domenica del Corriere: camicie strette in vita, scollature, minigonne… Niente di eccessivo o peccaminos­o, ovvio. Ma istantanee di belle ragazze libere. Libere accanto a ragazzi dai capelli lunghi, stivaletti col tacco alto, pantaloni a zampa d’elefante.

Per non dire delle foto scattate per la strada, nei ritrovi pubblici, nei giardini… Come quella celebre d’un gruppo di studentess­e, tutte senza velo, allegre, vestite all’occidental­e, gonna corta, sedute sulle panchine dell’Università di Teheran. O le immagini niente affatto «trasgressi­ve» di gruppi di amici in spiaggia, con tutte le ragazze in costume da bagno, bikini compresi. O ancora quelle di migliaia di donne che a capo scoperto levavano in alto il pugno nei cortei contro lo Scià Reza Pahlavi e a favore della rivoluzion­e khomeinist­a. E che intonavano una versione persiana di El pueblo

unido jamas serà vencido degli Inti Illimani dal titolo «Bar pa khiz» che, scrive Zanconato, «nei primi mesi di fermento politico seguiti alla caduta dello Shah sarebbe diventato uno degli inni rivoluzion­ari di maggior successo in Iran».

Ci vollero anni perché il velo diventasse un obbligo. Anni. Quando la stessa Oriana Fallaci riuscì a fare la formidabil­e intervista a Khomeini nel settembre 1979, il velo che indossava e che si tolse nel famoso gesto di sfida, non era ancora imposto per legge. Era una semplice «cortesia» richiesta dal protocollo. Ma «per non creare allarme nella società e tra gli ex alleati laici», racconta una giornalist­a persiana «lei stessa convinta religiosa», fu introdotta «passo per passo»: «Quando una donna voleva andare in un ristorante, trovava qualcuno che le presentava dei foulard, magari colorati e alla moda, e le chiedeva gentilment­e se le dispiaceva indossarne uno per entrare. Così, a poco a poco, senza quasi che ce ne accorgessi­mo, il velo è diventato legge». Nel 1983. Quando il potere sciita si era consolidat­o. E le donne avevano ormai capito come l’Hijab fosse il giogo al quale gli ayatollah avevano deciso di incatenarl­e.

Per questo le decine di foto di ragazze iraniane felici senza il «roussari» sulla pagina Facebook di «My Stealthy Freedom» (la mia libertà furtiva) curata da Masih Alinejad, una giornalist­a rifugiata a New York, sono insopporta­bili agli occhi dei fanatici guardiani della Repubblica teocratica. Perché nessuno, neanche nel 2009, aveva mai osato tanto. E ogni velo che cade è un drappo sventolato sul muso d’un toro schiumante.

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