Corriere della Sera

La Bce taglia gli acquisti Servono più investitor­i esteri

L’aumento dei rendimenti dei titoli di Stato ai massimi da tre mesi

- di Federico Fubini

Non è ancora chiaro quanto se ne rendano conto, ma i partiti stanno avviando la campagna elettorale in un mondo diverso da quello di ieri. In particolar­e, diverso da quello della settimana scorsa: con gennaio la Banca centrale europea ha iniziato ad attuare le sue decisioni di ottobre, dimezzando il ritmo degli acquisti di titoli di Stato sui mercati. Nell’unione monetaria ne comprerà ora per circa 30 miliardi di euro al mese, non più 60; specificam­ente sull’Italia lo farà per circa 4,5 miliardi, non più 9. A fine anno ne avrà dunque comprati per qualcosa più di 50 miliardi e allora, se prosegue la ripresa attuale, potrebbe fermarsi e poi limitarsi a reinvestir­e in bond sovrani i proventi di quelli che scadono via via.

Sarebbe la prima volta in tre anni e dieci mesi. Durante questo lungo periodo i governi italiani hanno fatto salire il deficit (al netto degli interessi sul debito) malgrado la ripresa, si sono dimessi, e i leader hanno discusso di tutto meno che del debito pubblico in continuo aumento. Nel frattempo i rendimenti dei titoli di Stato di Roma a dieci anni sono rimasti ancorati quasi sempre sotto il 2% — sotto il premio di rischio del debito americano — perché sul mercato c’era la Bce: prima nove miliardi al mese per un anno, poi dodici per un altro, quindi di nuovo nove al mese per quasi tutto il terzo anno. Da adesso dimezzerà, poi probabilme­nte scenderà a zero alla fine del 2018. Nel frattempo lo Stato continuerà a doversi finanziare fra i suoi creditori per circa 450 miliardi di euro ogni anno.

Basta voltarsi indietro per misurare il significat­o della svolta di Francofort­e. La Banca d’Italia per conto della Bce oggi detiene titoli pubblici del Paese per oltre 360 miliardi (sui quali incassa gli interessi dal Tesoro, per poi retroceder­glieli come cedole): è un aumento di 250 miliardi da quando il piano di acquisti della Bce, chiamato «quantitati­ve easing», iniziò nel marzo 2015.

Naturalmen­te trasformaz­ioni così profonde si sono prodotte in tutti i Paesi dell’area euro. Ovunque la banca centrale è passata da quote trascurabi­li fino a detenere circa il 15% del debito nazionale. Persino in Germania, o

in Olanda. Ciò che però distingue solo l’Italia nell’area sono le anomalie emerse in tempi recenti riguardo alla platea degli investitor­i in debito dello Stato per circa 2.300 miliardi. Gli investitor­i esteri si sono ritirati, le famiglie italiane anche. Negli ultimi anni i soli nuovi compratori netti di titoli di Stato italiani sono stati dapprima le banche commercial­i del Paese e la Bce, infine solo la Bce: gli istituti hanno iniziato a ridurre la loro esposizion­e una decina di mesi fa. In realtà tutte le categorie di operatori privati hanno limato la propria esposizion­e in bond di Roma o al massimo l’hanno mantenuta senza accrescerl­a. Per lo più hanno venduto alla Bce, ritenendo ormai poco interessan­te investire sul debito del governo italiani agli attuali bassi rendimenti.

In nessun caso ciò è più evidente che fra gli investitor­i esteri. Secondo la banca dati del centro studi Bruegel sui primi nove Stati dell’euro, l’Italia conta ormai la quota più bassa di denaro dal resto del mondo nel finanziame­nto dello Stato. Non è andata sempre così in passato: gli investitor­i esteri sono scesi dal 51% al 34% del debito in pochi anni (persino il piccolo Portogallo oggi è al 42%), quando invece salivano in Spagna o in Irlanda. Ciò significa che la quota di titoli detenuta all’interno del Paese è salita da poco meno di metà nel marzo del 2008 a due terzi oggi. Potrebbe essere un bene, perché i creditori nazionali di solito sono fedeli e poco propensi a vendere all’improvviso. Eppure anche l’impegno delle famiglie italiane nel debito dello Stato è sceso con il crollo dei rendimenti, da 300 miliardi di euro del 2009 a soli 100 oggi. Delle banche si è detto: nei primi anni della crisi hanno finanziato il governo, anche per non dover soccombere con esso, quindi hanno avviato una cauta ritirata. Restano dunque i soli fondi d’investimen­to, il cui impegno dal 2015 è fermo anche se il debito continua a salire.

La Bce nell’ultimo biennio è rimasta così il solo compratore marginale, quello che determina il prezzo con la sua presenza. E tra poco verrà meno. Per questo è inevitabil­e che il rendimento offerto dai titoli italiani per trovare compratori oggi sia ormai più alto anche di quello del Portogallo. Una nuova crisi del debito, molto probabilme­nte, non è alle porte. Ma con la ritirata della Bce, gli investitor­i privati esigeranno presto uno fra due scenari: misure chiare del governo sul calo del debito, o uno spread più alto e un premio più ricco per ritrovare appetito verso l’Italia.

Da 60 a 30 miliardi Francofort­e ha portato gli acquisti di titoli pubblici europei da 60 a 30 miliardi al mese Da 9 a 4,5 miliardi L’effetto sull’Italia sarà un dimezzamen­to degli acquisti mensili da 9 a 4,5 miliardi

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