La corsa dell’euro verso 1,21: cambio record da tre anni
Dal rialzo dei tassi Fed all’allentamento dell’acquisto dei titoli di Stato da parte della Bce. Spread a 164
L’anno comincia con MILANO un record dell’euro che mantiene i massimi da tre anni sul dollaro a dispetto degli sforzi messi in campo dalla Banca centrale europea per rendere la moneta unica più competitiva. L’uscita dal dollaro è stata accompagnata dalle vendite dei titoli dei gruppi europei con vocazione all’export, e dei titoli di Stato dei Paesi più soggetti alla speculazione ovvero gli italiani, dopo le parole del componente del board della Bce Benoit Coeuré che in un’intervista nel fine settimana ha ventilato l’ipotesi che il
quantitative easing possa chiudersi a settembre. E così l’inizio dell’anno registra un secondo record, quello dello spread con il Bund ai massimi dal 19 ottobre, che in chiusura si è attestato a 164 punti base, dopo una fiammata a 165 punti dai 159 del 29 dicembre. Sull’Italia pesa l’incertezza dell’esito delle elezioni politiche di marzo, che hanno fatto chiudere il tasso dei Btp in area 2,1%, massimo dalla fine di ottobre e dal 2,009% del 29 dicembre. E che pesi l’incertezza politica lo dimostra il confronto tra i nostri titoli decennali e i Bonos spagnoli: il differenziale di rendimento è in salita a 150 punti base dai 47 dell’ultima chiusura.
A essere precisi, ieri il cambio euro/dollaro — risalito di circa l’1,7% da Natale — ha toccato quota 1,2081 dopo la pubblicazione dell’indice Pmi manifatturiero di Markit per l’eurozona, che ha toccato a dicembre i massimi dal 1997. Il cambio è arrivato così a un passo dal livello massimo del 2017 quando a settembre ha raggiunto quota 1,2093, e a poca distanza dall’1,21 segnato l’ultima volta a gennaio 2015. Ma il record dell’indice manifatturiero non è riuscito a sostenere i mercati europei, che hanno chiuso in calo. Londra ha ceduto lo 0,5%, Parigi lo 0,4% e Francoforte lo 0,3% mentre Milano ha tenuto sulla parità.
Per Franco Bruni, docente di Politica monetaria all’università Bocconi, «è più corretto parlare di dollaro debole più che di euro forte. Al centro stanno le mosse della Federal Reserve nei prossimi mesi, l’aspettativa del rialzo dei tassi americani — ma anche Draghi dovrà alzarli — . Alcuni osservatori pensano che non accadrà nei termini prospettati, altri se lo aspettano. In questo scenario c’è l’Europa con un orizzonte economico e politico non straordinario ma favorevole. Bisogna tenere presente che il tasso di cambio per la competitività esterna ormai conta poco, i cinesi ad esempio comprano in listini in dollari».
I decennali Il rendimento dei titoli decennali negli ultimi giorni è tornato sopra la soglia del 2% Dollaro debole Bruni: la debolezza del dollaro influenzata dalle mosse della Federal Reserve