«Macron non si schiera nella sfida tra Teheran e Riad Non critico la sua prudenza»
«Emmanuel Macron PARIGI vuole mantenere una porta aperta con l’Iran. In questo modo si smarca ancora una volta dal presidente americano Trump, ma la differenza con gli Stati Uniti è solo un risultato secondario e non l’obiettivo della sua azione. Certo, rispetto alle parole di Trump che incoraggiano i cittadini iraniani alla rivolta, il silenzio di Macron nei primi giorni è stato piuttosto assordante. Ma non mi sento affatto di criticarlo», dice il politologo Dominique Moïsi.
Nel conflitto tra Iran e Arabia Saudita, l’America ha scelto chiaramente l’Arabia e quindi non può proporsi come mediatore nella regione. La Francia e l’Europa possono approfittarne per diventare la voce dell’Occidente in Medio Oriente?
«In questa fase nella quale l’America si mette un po’ fuori gioco da sola, la Francia e l’Europa possono prendere il testimone e questo può essere un bene. C’è l’ambizione di giocare un ruolo importante, ma non di sostituirsi agli Usa. Sarebbe eccessivo».
Macron ha cambiato la politica estera. Hollande era filo saudita, e nei negoziati sul nucleare la parte intransigente verso Teheran era la Francia del ministro Fabius, molto più che l’America di Kerry e Obama.
«È vero , assistiamo a un capovolgimento, la Francia oggi assomiglia all’America di Obama e gli Stati Uniti assomigliano alla Francia di Laurent Fabius di qualche anno fa. Ma è una logica che dipende anche dalla circostanze. Parigi parte dall’idea che gli accordi sul nucleare debbano essere preservati, che nuove sanzioni non siano all’ordine
Somiglianze La Francia oggi assomiglia all’America di Obama (e gli Stati Uniti alla Francia di Fabius)
del giorno, che certo bisogna porre limiti all’ambizione dell’Iran ma conservando un dialogo privilegiato, proprio perché Teheran diventa sempre più importante».
La svolta della Francia si è vista anche sul dittatore siriano Bashar Al Assad, alleato dell’Iran, la cui cacciata non è più una priorità.
«Ma è la situazione che è cambiata. Sì, Assad è un criminale di guerra, ma ha vinto. Coloro che lo hanno sostenuto, l’Iran e la Russia, hanno vinto e noi abbiamo fallito. Ora copriamo pudicamente questo insuccesso con il velo della lotta all’Isis: Macron prende atto dei risultati sul campo e ripete che il nemico sono i terroristi, non Assad».
Quando il ministro degli Esteri francese Le Drian andrà in Iran, non darà l’impressione di sostenere il regime, come Trump sostiene i manifestanti?
«Il viaggio di Le Drian era organizzato da tempo, si tratterà di preparare la storica visita del presidente Macron, annunciata entro il 2018. Per ora il governo francese pensa che il regime degli ayatollah tenga ancora il Paese, e considera che l’Iran sia un attore regionale ineludibile. I giochi in Medio Oriente sono aperti. Quale Paese è più instabile davvero? Quello che al suo interno sta cambiando tutto, l’Arabia Saudita, o quello impegnato a mantenere lo status quo, l’Iran? È questo il cuore del problema, e la Francia fa bene a non prendere parte per l’uno o per l’altro».