Corriere della Sera

«Macron non si schiera nella sfida tra Teheran e Riad Non critico la sua prudenza»

- di Stefano Montefiori DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE @Stef_Montefiori

«Emmanuel Macron PARIGI vuole mantenere una porta aperta con l’Iran. In questo modo si smarca ancora una volta dal presidente americano Trump, ma la differenza con gli Stati Uniti è solo un risultato secondario e non l’obiettivo della sua azione. Certo, rispetto alle parole di Trump che incoraggia­no i cittadini iraniani alla rivolta, il silenzio di Macron nei primi giorni è stato piuttosto assordante. Ma non mi sento affatto di criticarlo», dice il politologo Dominique Moïsi.

Nel conflitto tra Iran e Arabia Saudita, l’America ha scelto chiarament­e l’Arabia e quindi non può proporsi come mediatore nella regione. La Francia e l’Europa possono approfitta­rne per diventare la voce dell’Occidente in Medio Oriente?

«In questa fase nella quale l’America si mette un po’ fuori gioco da sola, la Francia e l’Europa possono prendere il testimone e questo può essere un bene. C’è l’ambizione di giocare un ruolo importante, ma non di sostituirs­i agli Usa. Sarebbe eccessivo».

Macron ha cambiato la politica estera. Hollande era filo saudita, e nei negoziati sul nucleare la parte intransige­nte verso Teheran era la Francia del ministro Fabius, molto più che l’America di Kerry e Obama.

«È vero , assistiamo a un capovolgim­ento, la Francia oggi assomiglia all’America di Obama e gli Stati Uniti assomiglia­no alla Francia di Laurent Fabius di qualche anno fa. Ma è una logica che dipende anche dalla circostanz­e. Parigi parte dall’idea che gli accordi sul nucleare debbano essere preservati, che nuove sanzioni non siano all’ordine

Somiglianz­e La Francia oggi assomiglia all’America di Obama (e gli Stati Uniti alla Francia di Fabius)

del giorno, che certo bisogna porre limiti all’ambizione dell’Iran ma conservand­o un dialogo privilegia­to, proprio perché Teheran diventa sempre più importante».

La svolta della Francia si è vista anche sul dittatore siriano Bashar Al Assad, alleato dell’Iran, la cui cacciata non è più una priorità.

«Ma è la situazione che è cambiata. Sì, Assad è un criminale di guerra, ma ha vinto. Coloro che lo hanno sostenuto, l’Iran e la Russia, hanno vinto e noi abbiamo fallito. Ora copriamo pudicament­e questo insuccesso con il velo della lotta all’Isis: Macron prende atto dei risultati sul campo e ripete che il nemico sono i terroristi, non Assad».

Quando il ministro degli Esteri francese Le Drian andrà in Iran, non darà l’impression­e di sostenere il regime, come Trump sostiene i manifestan­ti?

«Il viaggio di Le Drian era organizzat­o da tempo, si tratterà di preparare la storica visita del presidente Macron, annunciata entro il 2018. Per ora il governo francese pensa che il regime degli ayatollah tenga ancora il Paese, e considera che l’Iran sia un attore regionale ineludibil­e. I giochi in Medio Oriente sono aperti. Quale Paese è più instabile davvero? Quello che al suo interno sta cambiando tutto, l’Arabia Saudita, o quello impegnato a mantenere lo status quo, l’Iran? È questo il cuore del problema, e la Francia fa bene a non prendere parte per l’uno o per l’altro».

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