Bonino attacca. Ma il Pd: se vuole, l’intesa si fa
L’ex ministra: il problema sono i loro nomi, non i nostri posti. I sospetti dem: dentro «+Europa» sono divisi E il Viminale respinge le accuse: sulle firme nei collegi è la legge che prevede i criteri di raccolta
«Se i Radicali vogliono un accordo si può chiudere in pochi giorni, un accordo politico, sia sui collegi che sulle firme».
Nonostante sia in vacanza in montagna ai suoi dirigenti Matteo Renzi ha girato questo messaggio. Emma Bonino in questo momento sta denunciando una costrizione e una discriminazione: l’obbligo di andare da sola, in base ai regolamenti attuativi della legge elettorale. Dal Pd sostengono invece che la complicazioni giuridiche sono superabili, o in qualche modo bypassabili,
anche se il Viminale non cambierà una virgola sulle modalità di presentazione delle liste.
Indubbiamente nella lite a distanza fra Emma Bonino e il Partito democratico si intravede anche un tira e molla. Nello staff di Renzi lo fanno capire, in modo ufficioso: i Radicali sarebbe divisi al loro interno, ci sarebbe anche «chi vuole correre da solo, e ora sta forzando con la costruzione di un alibi».
E questo nonostante non vengano negate le difficoltà elettorali di una lista che non ha rappresentanza parlamentare come quella dei Radicali, obbligata a maggiori incombenze amministrative rispetto agli altri partiti. Eppure nel Pd sostengono che tutto è superabile, con un «accordo in pochi giorni, anche sulle liste», dunque anche sul numero di collegi, e sui nomi conseguenti.
Ma apparentemente per la Bonino questa della mano tesa, da parte del Pd, sarebbe solo un espediente mediatico. L’accusa è che nessuno si sia mosso per far cambiare idea agli uffici del Viminale, che avrebbero emesso una circolare interpretativa della nuova legge elettorale che penalizza, di fatto, la presentazione delle liste della Bonino.
La risposta ufficiale del Pd dice infatti l’ex ministro degli Esteri del governo di Enrico Letta - è stata: «Vi aiuteremo a raccogliere le firme», che è più o meno come dire: “Se non avete il pane, vi daremo le brioche”. La risposta ufficiosa, che inizia a trapelare copiosa è che staremmo facendo grane per una questione di «posti»: cosa platealmente falsa, il problema che poniamo riguarda i «loro», non i «nostri» candidati uninominali».
Insomma secondo la Bonino il suo partito non può iniziare a raccogliere le firme senza sapere i nomi dei candidati del Pd, perché i moduli di raccolta delle firme dovrebbero contenerli, se fossero alleati.
Nel tira e molla, a fine giornata, interviene anche il Viminale con una nota: «È la legge a prevedere che tutte le firme debbano essere raccolte con l’indicazione dei candidati uninominali, senza in alcun modo differenziare tra liste che si coalizzano e liste singole. In ogni caso, ciascuna forza politica può definire modalità di sottoscrizione diverse da quelle suggerite dal ministero dell’Interno, compatibili però e comunque con la disciplina legislativa vigente».
Una puntura di spillo invece da parte dei grillini: «I giornali fanno titoloni per il partito della Bonino che ha più lettere nel nome che elettori», scrive il candidato premier Luigi Di Maio. Marco Galluzzo