La fatwa anti speculazione contro la moneta virtuale
Per l’Islam ogni aspetto dell’agire umano deve essere ispirato ai dettami della legge religiosa. Corano e pronunciamenti del profeta Maometto ne sono i principi fondanti. Le attività economiche non sfuggono a tale principio. In ambito finanziario, ad esempio, la legge islamica proibisce l’interesse, equiparato all’usura, vieta investimenti in beni proibiti dall’Islam oppure, in generale, ogni attività economica marcata da un carattere aleatorio o speculativo.
Le regole dell’Islam In ambito finanziario la legge islamica proibisce ogni attività a carattere aleatorio Shawqi Allam, Gran Mufti d’Egitto, ha proibito l’utilizzo della moneta web
Sul caso dei Bitcoin vi è da tempo divergenza di pareri. Fatte salve le esplicite e accettate proibizioni citate sopra, tale divergenza ruota intorno al fatto se i Bitcoin debbano essere considerati denaro a tutti gli effetti, benché virtuali, e se in quanto denaro siano riconducibili a ciò che Maometto ha prescritto o proibito in proposito. Per i favorevoli i Bitcoin sono ancor più saldi delle monete basate sul debito, come quelle degli stati sovrani, mentre per gli oppositori il carattere virtuale ne determina una natura speculativa inaccettabile e contraria all’islam. Allo stesso tempo, però, se i Bitcoin sono piuttosto considerati un sistema di pagamento, persino con un carattere di incertezza minore rispetto ad altre forme contrattuali, i riferimenti tradizionali possono essere diversi e, di conseguenza, implicare prescrizioni religiose contrastanti.
L’ultima fatwa di Shawqi Allam, Gran Mufti d’Egitto, proibisce senza mezzi termini i Bitcoin. Sebbene provenga da una delle maggiori autorità islamiche, pare fondata su argomentazioni non risolutive. Non è la prima in tal senso, ed evidenzia tutta la complessità del rapporto tra finanza contemporanea e le prescrizioni religiose islamiche: le ingiunzioni sono influenzate da ragioni di politica economica non meno che da complesse argomentazioni tradizionali.