Corriere della Sera

Che talento quel mezzemanic­he La rivincita del «filisteo» Svevo

Il libro di Maurizio Serra sullo scrittore triestino (Aragno). La rivalità con Saba, la stima di Joyce

- di Pier Luigi Vercesi

Per un’anima letteraria doveva pur esserci un antidoto al naufragio esistenzia­le, alla dissoluzio­ne fino al suicidio, in quella Trieste viennese di tardo Ottocento. Scoprì la medicina adatta e la bevve fino all’ultima goccia Ettore Schmitz, giovane ebreo-italiano, nato in una città asburgica ma educato in un collegio germanico (nell’antica Svevia). Quando si percepì avviato sulla pericolosa china dello scapigliat­o di provincia, dell’inetto in balìa del nulla in un mondo senza passioni, rinnegò la propria appartenen­za ebraica, seppellì il demone della scrittura e rinunciò a un amore (Giuseppina) che, borgheseme­nte abbandonat­a, si trasfigure­rà nella cavalleriz­za di un circo.

Ettore Schmitz, segnato dal fallimento paterno, alla morte della madre si consegnò a una lontana cugina, Livia, bionda e formosetta, un po’ meno ebrea di lui e già abbondante­mente cristianiz­zata, e a un dignitoso impiego da mezzemanic­he. Si consegnò soprattutt­o alla suocera, Olga Moravia Veneziani, spietata matriarca che scandiva i tempi e i destini di un clan benestante abbarbicat­o a una premiata ditta di vernici industrial­i. Olga rieducò Ettore estirpando­gli (non definitiva­mente) il vizio della scrittura e alimentand­ogli quello meno insidioso del violino, da far gemere nelle serate «culturali» offerte dalla famiglia Veneziani agli amici triestini. A tempo debito, la suocera lo cooptò nel governo della ditta e fu così che Ettore Schmitz sopravviss­e nel suo doppio: lo scrittore che pubblicava con un nome de plume a proprie spese e senza pretese; e «mi scese nell’anima la grande tranquilli­tà che questo vigliacco mondo borghese m’accorda». Antivita di Italo Svevo (Aragno) è il titolo del libroaffre­sco di Maurizio Serra, già apparso in Francia e in Spagna. L’ambasciato­re letterato da qualche anno scrive direttamen­te in francese le sue storie italiane. La precedente, una biografia di Curzio Malaparte, è stata premiata con il Goncourt. Come definire i suoi scritti? Biografia no, saggio critico nemmeno. Sono esempi di letteratur­a senza confine: Serra porta in sé un bagaglio di letture e frequentaz­ioni, di viaggi ed esperienze che trasforma in un flusso narrativo inarrestab­ile fino a quando il quadro non è completato. Al lettore sembra allora di condivider­e quel mondo e quell’epoca. Una vita, Senilità, La coscienza di Zeno, i racconti e i loro personaggi si fondono nel mondo familiare e sociale di Ettore-Italo. Come l’agrodolce rapporto con Umberto Saba, il loro duello in punta di fioretto combattuto a distanza. Si dice che Ettore Schmitz sia l’unico cliente a non aver mai ottenuto uno sconto nella libreria del poeta. «Era un caro uomo il vecchio Schmitz! Dopo le lodi ai suoi romanzi, nulla gli piaceva tanto come raccontare agli amici i ricordi della sua lunga vita commercial­e». Saba temeva che il «filisteo borghese» gli rubasse la scena letteraria triestina. Ne veniva ripagato in una lettera di Ettore a Eugenio Montale: «Non giudichi malamente il Saba. È un candido. Voglio dire che con grande candidezza rivela la sua ambizione e anche la sua vanità».

Un giorno d’ottobre del 1904 giunse a Trieste un giovane irlandese già convinto del suo genio. Il professor Zois (James Joyce) venne assunto come insegnante d’inglese alla Berliz Cul (Berlitz School) e qui incontrò il commercian­te di vernici Ettore Schmitz. Non frequentav­ano gli stessi luoghi — Zois era a suo agio nelle bettole e nei lupanari — ma tra i due nacque una complicità letteraria. L’irlandese stava scrivendo Gente di Dublino e prese l’abitudine di portare i capitoli ultimati con sé quando si recava in villa per dare lezioni d’inglese alla coppia Schmitz-Veneziani. Dopo aver ascoltato leggere il capitolo I morti, la signora Livia andò in giardino, colse un mazzo di fiori e li offrì all’autore esordiente. Ettore, risvegliat­osi Italo, gli sottopose la «vergogna» di una vita precedente, Senilità, e ne ottenne, come commento, che «neanche Anatole France avrebbe potuto eguagliare…». Vent’anni dopo sarà il già osannato Joyce dell’Ulisse ad aprire le porte del riconoscim­ento letterario, in Francia e nel Regno Unito, alla Coscienza di Zeno, che gli editori italiani si ostinavano a condannare allo stesso limbo di Una vita e Senilità. Agli albori del Novecento, Ettore si era scusato con la moglie in vacanza: «Olga dice che domani non ti potrò scrivere perché quando si lavora non si scrive». Ora, un quarto di secolo più tardi, nelle fotoricord­o della riconosciu­ta gloria letteraria del genero, la matriarca appare «brutta e trionfante come non mai, con stampata in faccia l’espression­e del batrace satollo». Ma era troppo tardi. Un incidente stradale congiunse per sempre Italo a Ettore in un busto alla memoria, che il fascismo repubblich­ino poi distrusse per trasformar­e il bronzo giudeo in cannoni. Il signor Schmitz si ritrovò così ricongiunt­o anche con i suoi antenati.

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Lo scrittore Italo Svevo (1861-1928) con la moglie Livia e la figlia Letizia

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