L’arte di Staccioli, pacifica invasione di spazi e paesaggi
Con il suo enorme Anello (un cerchio color rosso-ossido di ferro e cemento, sei metri di diametro) Mauro Staccioli (sotto), scomparso il primo gennaio a 80 anni nella sua casa-studio di Milano, era riuscito nel 2009 a compiere un’impresa quasi impossibile: trasformare le colline intorno a Volterra, le stesse che avevano fatto da sfondo di classica bellezza per le Vaghe Stelle dell’Orsa (1965) di Luchino Visconti, in un palcoscenico altrettanto perfetto per la contemporaneità. L’Anello (realizzato tra il 1997 e il 2005) sarebbe col tempo diventato l’Anello di San Martino, dal nome della collina, uno dei simboli più noti (e più fotografati) della cittadina toscana, dove Staccioli era nato nel 1937 e che nel 2016 gli aveva attribuito la «Benemerenza civica per la sua attività d’artista» (qui sarà sepolto oggi, dopo la cerimonia pubblica — alle 13 — nella Sala del Maggior Consiglio del Palazzo dei Priori). In qualche modo, per lui (tra i fondatori a Cagliari negli anni Settanta del Gruppo Iniziativa, artista ma anche insegnante) quel cerchio avrebbe però rappresentato una sorta di riconoscimento necessario, dopo che nel 1978 era involontariamente diventato il simbolo dell’«incomunicabilità del contemporaneo»: Alberto Sordi aveva, infatti, scelto il suo Muro come sfondo per illustrare l’arrivo alla Biennale di Venezia di Remo e Augusta Proietti, i due fruttaroli romani protagonisti delle Vacanze intelligenti, che lo incrociano sconcertati appena scesi dalla gondola ai Giardini, mentre sullo sfondo un critico spiega: «Una costruzione di 8 x 8 x 1.20, una scultura gigantesca di Staccioli che sottrae la consueta istituzionale visione della Laguna per fornirne poi subito dopo il sorpasso, un’immagine diversa dal consueto e forse più suggestiva». Con il suo linguaggio rigoroso Mauro Staccioli ha certo faticato più di altri nel ricevere il giusto riconoscimento da parte del mercato: la cifra più alta per un suo lavoro (204 mila euro sborsati da Dorotheum a Vienna per la scultura in acciaio Ellissi del 2008) risale così «solo» al 2015. Mentre le sue sculture-intervento e le sue idee-oggetto («forme elementari e primarie di materiali comuni che potevano mettersi in rapporto dialettico con lo spazio» oppure «configurarsi come metafora visiva della violenza») hanno continuato la loro pacifica invasione di musei e spazi urbani (tra le gallerie che l’hanno maggiormente seguito il Ponte di Firenze e Niccoli di Parma): la Rotonda della Besana di Milano, il Centro Pecci di Prato, il Parco olimpico di Seul, il Museum of Contemporary art di San Diego, il Museo Marca di Catanzaro, la Galleria d’arte moderna di Roma, la Fondazione Fiumara d’arte a Motta d’Affermo in Sicilia. Eppure il destino sembrava riportarlo sempre a Volterra (dove anche aveva mantenuto casa e studio), nei suoi Luoghi d’esperienza, come recitava il titolo della mostra (nel comitato scientifico Gillo Dorfles) che per prima aveva «accolto» il suo Anello di ferro e cemento.