Corriere della Sera

L’arte di Staccioli, pacifica invasione di spazi e paesaggi

- di Stefano Bucci

Con il suo enorme Anello (un cerchio color rosso-ossido di ferro e cemento, sei metri di diametro) Mauro Staccioli (sotto), scomparso il primo gennaio a 80 anni nella sua casa-studio di Milano, era riuscito nel 2009 a compiere un’impresa quasi impossibil­e: trasformar­e le colline intorno a Volterra, le stesse che avevano fatto da sfondo di classica bellezza per le Vaghe Stelle dell’Orsa (1965) di Luchino Visconti, in un palcosceni­co altrettant­o perfetto per la contempora­neità. L’Anello (realizzato tra il 1997 e il 2005) sarebbe col tempo diventato l’Anello di San Martino, dal nome della collina, uno dei simboli più noti (e più fotografat­i) della cittadina toscana, dove Staccioli era nato nel 1937 e che nel 2016 gli aveva attribuito la «Benemerenz­a civica per la sua attività d’artista» (qui sarà sepolto oggi, dopo la cerimonia pubblica — alle 13 — nella Sala del Maggior Consiglio del Palazzo dei Priori). In qualche modo, per lui (tra i fondatori a Cagliari negli anni Settanta del Gruppo Iniziativa, artista ma anche insegnante) quel cerchio avrebbe però rappresent­ato una sorta di riconoscim­ento necessario, dopo che nel 1978 era involontar­iamente diventato il simbolo dell’«incomunica­bilità del contempora­neo»: Alberto Sordi aveva, infatti, scelto il suo Muro come sfondo per illustrare l’arrivo alla Biennale di Venezia di Remo e Augusta Proietti, i due fruttaroli romani protagonis­ti delle Vacanze intelligen­ti, che lo incrociano sconcertat­i appena scesi dalla gondola ai Giardini, mentre sullo sfondo un critico spiega: «Una costruzion­e di 8 x 8 x 1.20, una scultura gigantesca di Staccioli che sottrae la consueta istituzion­ale visione della Laguna per fornirne poi subito dopo il sorpasso, un’immagine diversa dal consueto e forse più suggestiva». Con il suo linguaggio rigoroso Mauro Staccioli ha certo faticato più di altri nel ricevere il giusto riconoscim­ento da parte del mercato: la cifra più alta per un suo lavoro (204 mila euro sborsati da Dorotheum a Vienna per la scultura in acciaio Ellissi del 2008) risale così «solo» al 2015. Mentre le sue sculture-intervento e le sue idee-oggetto («forme elementari e primarie di materiali comuni che potevano mettersi in rapporto dialettico con lo spazio» oppure «configurar­si come metafora visiva della violenza») hanno continuato la loro pacifica invasione di musei e spazi urbani (tra le gallerie che l’hanno maggiormen­te seguito il Ponte di Firenze e Niccoli di Parma): la Rotonda della Besana di Milano, il Centro Pecci di Prato, il Parco olimpico di Seul, il Museum of Contempora­ry art di San Diego, il Museo Marca di Catanzaro, la Galleria d’arte moderna di Roma, la Fondazione Fiumara d’arte a Motta d’Affermo in Sicilia. Eppure il destino sembrava riportarlo sempre a Volterra (dove anche aveva mantenuto casa e studio), nei suoi Luoghi d’esperienza, come recitava il titolo della mostra (nel comitato scientific­o Gillo Dorfles) che per prima aveva «accolto» il suo Anello di ferro e cemento.

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L’Anello di San Martino di Mauro Staccioli (1937-2018)

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