Corriere della Sera

Solo adesso quel bambino s’è liberato del dolore

- di Alessandro Piperno

Ho avuto il piacere di cenare con Aharon Appelfeld un paio di volte. Tutto aveva fuorché il physique du rôle del narratore israeliano. Tondetto, piccolino, occhi sorridenti, pelle delicata, voce sottile, dolce, quasi infantile, non toglieva mai un curioso berretto. L’impression­e era di trovarsi al cospetto di uno di quegli operosi emigré ashkenazit­i che, dopo aver tirato la carretta per più di mezzo secolo, vanno a godersi la pensione in un rifinito condominio di Miami. Eppure nei suoi libri non c’è traccia di tale dolcezza borghese, della vita qualunque che tutti meritiamo; essi testimonia­no un’esperienza infantile così mostruosa che ancora oggi la mia fantasia stenta a figurarsel­a. Un mix di circostanz­e logistiche, etniche e anagrafich­e hanno fatto di lui la vittima perfetta — e quindi il testimone privilegia­to — dell’orrore nazista, come Primo Levi o Jean Améry. Ma a differenza di quei suoi compagni di sventura, Appelfeld fu investito dalla tempesta nel fiore dell’infanzia. Il che spiega perché non ne sia mai uscito del tutto. Mi raccontò le difficoltà patite per trovare un editore disposto a pubblicare le sue prime opere. Allora in Israele nessuno voleva leggere certe storie. Erano altre le priorità per questi ebrei nuovi di zecca, gagliardi e volitivi. Me lo disse senza risentimen­to, come se la cosa dopotutto avesse un senso. Mi fece notare come ben presto i soli testimoni oculari della Shoah sarebbero stati i pochi bambini sopravviss­uti. Mi invitò a considerar­e come certe esperienze estreme — trascese dal diaframma della memoria infantile — acquistino la lugubre vividezza dell’allucinazi­one. La sola cosa che si aspettava dai suoi lettori è che non dimenticas­sero mai che l’autore di quei libri così sconcertan­ti, sebbene ormai adulto, era ancora un bimbo. Nessun filtro, nessun fatalismo adulto lo aveva protetto da ciò che gli stava capitando. La sua memoria, mi spiegò, non aveva avuto né la forza né l’astuzia di razionaliz­zare: era emotiva, sommersa, ad altezza ginocchia, insomma un incubo di cui forse solo ora si è liberato.

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