Corriere della Sera

GELO, FATICA, BELLEZZA LA MONTAGNA E NOI

- di Giorgio Montefosch­i

La fotografia del Monviso lontano 240 chilometri, scattata da Milano, che ha pubblicato qualche giorno fa il Corriere, era emozionant­e. Anche atterrare a Torino in una giornata limpida, possibilme­nte al tramonto, e vedere le Alpi coperte di neve provoca una grande emozione. L’Etna incappucci­ato di bianco è da perdere la ragione. Il Gran Sasso, visto dall’Aquila, ma pure dall’altra parte, ti mozza il respiro. Persino il Terminillo, la montagna banale dei romani, quando il cielo è pulito dalla tramontana, ha un suo fascino assorto. L’Italia ha le montagne nel suo scheletro; e nel sangue. La montagna — come il Monviso fotografat­o da Milano — esprime la distanza irraggiung­ibile; esprime la purezza; esprime la solitudine. E un senso segreto di nostalgia che è difficile spiegare a parole.

Goffredo Parise, che sul Corriere ha scritto alcuni racconti stupendi sulla montagna, poi raccolti nei due Sillabari, aveva una tale nostalgia della montagna, e in particolar modo di Cortina, che quando per motivi di salute non poté più andarci, nella sua casetta sul greto del Piave — perlomeno così mi disse — si fece istallare non so quale marchingeg­no che gli restituiva l’aria di Cortina. Parise amava lo scricchiol­io delle neve fresca che si sente sotto gli sci nel canalone della Tofana; amava il colore delle rocce e il silenzio del bosco; amava i volti delle belle donne bruciati dal sole del Faloria; amava andare in una vecchia casa ampezzana, dalla parte di Zuel, da un donna burbera, «fidanzata» un tempo di Comisso, a dividere la polenta attorno al tavolo quadrato della cucina, con qualche scalatore taciturno (come lui stesso) o qualche professore universita­rio non tanto conosciuto. Ma aveva scritto anche un paio di racconti, altrettant­o belli, sulle vacanze estive, modeste, che si facevano sulle Prealpi: pensioni da quattro soldi sul bordo della strada, con la cena alle sette. Quella, era la nostalgia di una «montagna mancata»: opprimente come un oscuro senso di colpa.

La montagna, un tempo — non fosse altro che per l’assenza delle autostrade, le strade impervie e strette, la mancanza d’inverno degli spazzaneve, la tortura indescrivi­bile delle catene — era l’arrivo in un altro mondo (io ricordo il lungo viaggio notturno in treno, la prima ventata di abeti e di freddo, l’odore di legno della casa, i piumini, il ritiro del baule). E una conquista, in un certo qual modo. Una vera e propria fatica: con quei pantaloni ruvidi che ti pizzicavan­o le gambe, i lacci degli scarponi, la neve che ti entrava nel collo. Credo, a dispetto di ogni logica e di ogni progresso, che non sarebbe sbagliato se rimanesse tale.

Se non si fatica, la montagna è inutile. Se non risali cogli sci «a scaletta» una cinquantin­a di metri avendo preso una curva sbagliata (e magari litigato con tua moglie che ti aspetta nel «punto giusto»), non puoi apprezzare l’immensa gioia della discesa (e della rappacific­azione). Se non stai un po’ a stecchetto, non puoi apprezzare la vera fame, e quei gigantesch­i piatti che oggi ti danno nei rifugi. Se, d’altro canto, riesci a resistere al profumo delle cotolette e degli stichi, ti tieni la fame e soffri, poi scii molto meglio. Se d’estate non ti ammazzi su una salita sotto il sole, poi non puoi capire, quando sei in quota, cosa significan­o quei colpi d’aria radenti che sono come delle frustate dell’aria e ti aprono il petto. Se non muori di sete, non puoi capire cosa vuol dire chinarsi e raccoglier­e fra le mani l’acqua di una sorgente. Insomma, se non fatichi, lascia perdere.

E se, per caso un anno nevica tanto, così tanto che basta una automobile di traverso a bloccare un paese e una valle, non lamentarti dopo averla agognata la neve, decretato la fine dei ghiacciai, il riscaldame­nto universale. Fai una piccola rinuncia e non usare l’automobile. Stattene a casa. Vai a passeggiar­e nel bosco: che è la cosa più bella da fare quando c’è tanta neve. E se devi partire a ogni costo, fai il sacrificio di aspettare qualche ora che le strade siano praticabil­i, oppure scegli un itinerario alternativ­o. O — a mali estremi, estremi rimedi — «occupa», sì occupa manu militari la pensione o l’albergo. Con tutti i famigliari, e il cane.

La conquista Le strade strette, la tortura delle catene: raggiunger­la è una vera conquista Nei rifugi Se prima non stai un po’ a stecchetto, se non hai vera fame, non puoi apprezzare i gigantesch­i piatti che ti danno nei rifugi

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1 Una donna si fa un selfie davanti alla fontana ghiacciata del Bryant Park di Manhattan. A New York la neve ha raggiunto 20 centimetri (Afp)
2 Un’immagine presa dai satelliti dell’agenzia federale che si occupa di meteorolog­ia...
Negli Stati Uniti 1 Una donna si fa un selfie davanti alla fontana ghiacciata del Bryant Park di Manhattan. A New York la neve ha raggiunto 20 centimetri (Afp) 2 Un’immagine presa dai satelliti dell’agenzia federale che si occupa di meteorolog­ia...
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