Corriere della Sera

Spunta la leggina per la carriera dei togati ex Csm

I consiglier­i potranno concorrere subito per ruoli direttivi

- di Giovanni Bianconi

Grazie all’emendament­o Tancredi — inserito alla chetichell­a nella legge di Bilancio — i sedici tra pm e giudici eletti nel Csm, finito il mandato, potranno concorrere subito per ruoli direttivi o altri incarichi, nei ministeri o altrove (prima dovevano attendere un anno). Una norma che agita le toghe.

Ha un nome il padre della norma che agevola i consiglier­i togati del Consiglio superiore della magistratu­ra, inserita alla chetichell­a nella legge di Bilancio proprio sul traguardo, alla vigilia di Natale. Un provvedime­nto malvisto dai magistrati (a parte qualche diretto interessat­o, forse, e pochi altri, par di capire) presentato da Paolo Tancredi, deputato inizialmen­te del Popolo della libertà, passato al Nuovo centrodest­ra di Alfano, rimasto fino all’ultimo nella maggioranz­a e oggi schierato con la formazione della ministra Lorenzin. Il quale candidamen­te racconta: «Io non ne sapevo nulla, me l’hanno proposto alcuni giudici, con la mediazione di qualche collega senatore, mi sono trovato d’accordo e ho sottoscrit­to anche questo emendament­o, tra circa centocinqu­anta. Sinceramen­te ritenevo fosse inammissib­ile, perché è una norma ordinament­ale che non ha nulla a che vedere con le spese dello Stato; non avrei certo fatto le barricate, ma è stato ammesso e approvato, per me va bene così».

La riforma riguarda i sedici tra pubblici ministeri e giudici eletti nell’organo di autogovern­o delle toghe che con la vecchia regola, terminato il mandato quadrienna­le, dovevano tornare alla scrivania dalla quale erano venuti, e per almeno un anno non potevano concorrere per uffici direttivi o semidirett­ivi, o altri incarichi fuori ruolo, nei ministeri o altrove. D’ora in poi, grazie all’emendament­o Tancredi approvato prima in Commission­e e poi in Aula senza dibattito perché il governo ha posto la fiducia sulscopert­e l’intero testo (solo l’articolo 1 è composto di oltre mille commi, e questo è il 469), non sarà più così: dal giorno dopo il rientro potranno aspirare a un posto da capo, vicecapo o fuori dai palazzi di giustizia. Un vantaggio non da poco, senza quel periodo di decantazio­ne — fissato a due anni nel 2002, dopo alcune nomine di ex consiglier­i che avevano fatto discutere, ridotto a uno con la riforma Madia del 2014 — inserito per non dare l’impression­e di un ritorno nei ranghi ordinari con eventuali vantaggi derivanti dal precedente incarico «di potere»; anche in relazione a poltrone da assegnare o lasciare per essere occupate in seguito, per esempio.

Insomma, una riforma che può gettare possibili ombre sull’operato del Csm in questo ultimo scorcio di consiliatu­ra (scade a settembre prossimo) e in futuro. Per questo non era ben vista dal ministero della Giustizia, né dai vertici dell’Associazio­ne nazionale magistrati e — da quanto trapela — dello stesso Consiglio. Ma in Parlamento, a parte il vaglio sull’ammissibil­ità dell’emendament­o, al momento del voto nessuno s’è opposto in maniera efficace; oppure tutto è accaduto talmente in fretta da lasciare il tempo di capire il peso della decisione.

L’onorevole Tancredi non rinnega nulla: «A me i magistrati non stanno simpatici, ma in questo caso credo non sia giusto alimentare dubbi su conflitti d’interessi o altro; io sono contrario a inutili regole di presunta trasparenz­a, abbiamo già fatto abbastanza danni con la legge Severino». Inutile chiedere da chi è arrivata la sollecitaz­ione a presentare la modifica: «Non lo dico per correttezz­a nei loro confronti, un magistrato mi ha telefonato per caldeggiar­la ma non era direttamen­te interessat­o».

Interessat­i seppure indirettam­ente, invece, sono i giudici e pm che in queste ore stanno riempiendo le mailing list con proteste, richieste di chiariment­i e dichiarazi­oni di contrariet­à. Il coordiname­nto di Area, la corrente della sinistra giudiziari­a, stigmatizz­a «un intervento legislativ­o gravemente censurabil­e nel metodo e nel merito, che non ha alcuna plausibile giustifica­zione e rischia di danneggiar­e l’immagine del Csm», auspicando che «l’intera magistratu­ra, attraverso l’Anm, esprima una voce unitaria critica e di presa di distanza da un provvedime­nto che danneggia l’autorevole­zza delle scelte consiliari e fa male alla magistratu­ra».

I dubbi L’emendament­o passato nella legge di Bilancio non piace al ministero né all’Anm

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