Spunta la leggina per la carriera dei togati ex Csm
I consiglieri potranno concorrere subito per ruoli direttivi
Grazie all’emendamento Tancredi — inserito alla chetichella nella legge di Bilancio — i sedici tra pm e giudici eletti nel Csm, finito il mandato, potranno concorrere subito per ruoli direttivi o altri incarichi, nei ministeri o altrove (prima dovevano attendere un anno). Una norma che agita le toghe.
Ha un nome il padre della norma che agevola i consiglieri togati del Consiglio superiore della magistratura, inserita alla chetichella nella legge di Bilancio proprio sul traguardo, alla vigilia di Natale. Un provvedimento malvisto dai magistrati (a parte qualche diretto interessato, forse, e pochi altri, par di capire) presentato da Paolo Tancredi, deputato inizialmente del Popolo della libertà, passato al Nuovo centrodestra di Alfano, rimasto fino all’ultimo nella maggioranza e oggi schierato con la formazione della ministra Lorenzin. Il quale candidamente racconta: «Io non ne sapevo nulla, me l’hanno proposto alcuni giudici, con la mediazione di qualche collega senatore, mi sono trovato d’accordo e ho sottoscritto anche questo emendamento, tra circa centocinquanta. Sinceramente ritenevo fosse inammissibile, perché è una norma ordinamentale che non ha nulla a che vedere con le spese dello Stato; non avrei certo fatto le barricate, ma è stato ammesso e approvato, per me va bene così».
La riforma riguarda i sedici tra pubblici ministeri e giudici eletti nell’organo di autogoverno delle toghe che con la vecchia regola, terminato il mandato quadriennale, dovevano tornare alla scrivania dalla quale erano venuti, e per almeno un anno non potevano concorrere per uffici direttivi o semidirettivi, o altri incarichi fuori ruolo, nei ministeri o altrove. D’ora in poi, grazie all’emendamento Tancredi approvato prima in Commissione e poi in Aula senza dibattito perché il governo ha posto la fiducia sulscoperte l’intero testo (solo l’articolo 1 è composto di oltre mille commi, e questo è il 469), non sarà più così: dal giorno dopo il rientro potranno aspirare a un posto da capo, vicecapo o fuori dai palazzi di giustizia. Un vantaggio non da poco, senza quel periodo di decantazione — fissato a due anni nel 2002, dopo alcune nomine di ex consiglieri che avevano fatto discutere, ridotto a uno con la riforma Madia del 2014 — inserito per non dare l’impressione di un ritorno nei ranghi ordinari con eventuali vantaggi derivanti dal precedente incarico «di potere»; anche in relazione a poltrone da assegnare o lasciare per essere occupate in seguito, per esempio.
Insomma, una riforma che può gettare possibili ombre sull’operato del Csm in questo ultimo scorcio di consiliatura (scade a settembre prossimo) e in futuro. Per questo non era ben vista dal ministero della Giustizia, né dai vertici dell’Associazione nazionale magistrati e — da quanto trapela — dello stesso Consiglio. Ma in Parlamento, a parte il vaglio sull’ammissibilità dell’emendamento, al momento del voto nessuno s’è opposto in maniera efficace; oppure tutto è accaduto talmente in fretta da lasciare il tempo di capire il peso della decisione.
L’onorevole Tancredi non rinnega nulla: «A me i magistrati non stanno simpatici, ma in questo caso credo non sia giusto alimentare dubbi su conflitti d’interessi o altro; io sono contrario a inutili regole di presunta trasparenza, abbiamo già fatto abbastanza danni con la legge Severino». Inutile chiedere da chi è arrivata la sollecitazione a presentare la modifica: «Non lo dico per correttezza nei loro confronti, un magistrato mi ha telefonato per caldeggiarla ma non era direttamente interessato».
Interessati seppure indirettamente, invece, sono i giudici e pm che in queste ore stanno riempiendo le mailing list con proteste, richieste di chiarimenti e dichiarazioni di contrarietà. Il coordinamento di Area, la corrente della sinistra giudiziaria, stigmatizza «un intervento legislativo gravemente censurabile nel metodo e nel merito, che non ha alcuna plausibile giustificazione e rischia di danneggiare l’immagine del Csm», auspicando che «l’intera magistratura, attraverso l’Anm, esprima una voce unitaria critica e di presa di distanza da un provvedimento che danneggia l’autorevolezza delle scelte consiliari e fa male alla magistratura».
I dubbi L’emendamento passato nella legge di Bilancio non piace al ministero né all’Anm