L’ossessione per il 25° emendamento
All’inizio erano solo battute. Jeb Bush, effimero candidato alle primarie repubblicane, in un comizio nel New Hampshire, il 6 febbraio 2016, se ne uscì con questa frase: «Non sono uno psicologo, ma penso che Donald dovrebbe farsi curare». Quasi due anni dopo quel colpo basso da campagna elettorale è diventato il tema che agita e, ancora una volta, divide l’America. Se il presidente è «mentalmente instabile», come pensano molti dei suoi collaboratori, stando al racconto di Michael Wolff, allora si potrebbe applicare il venticinquesimo emendamento della Costituzione americana. Una misura di emergenza mai utilizzata nella storia del Paese: il vicepresidente, in accordo con la maggioranza dei ministri, può dichiarare il presidente «incapace» di assolvere i doveri del suo ufficio e, quindi, destituirlo. Ma il numero uno della Casa Bianca può riprendersi il potere, informando il Congresso di essere, invece, perfettamente in grado di governare. Se il suo vice insiste, tocca alla Camera e al Senato decidere sull'’«idoneità» del presidente, con una maggioranza dei due terzi.
La presunta pazzia di Trump ha già alimentato un cospicuo filone di saggistica. Il volume più noto è forse quello di Bandy X Lee: «Il pericoloso caso di Donald Trump: 27 psichiatri ed esperti di malattie mentali esaminano un presidente». La professoressa Lee insegna Psichiatria all’Università di Yale ed è specializzata nello studio dei comportamenti violenti. Il 5 dicembre scorso fu invitata da un gruppo di parlamentari democratici al Congresso di Washington. L’incontro durò 16 ore, distribuite su due giorni. La dottoressa Lee mise in guardia i suoi interlocutori: «Attenzione, Trump rappresenta una minaccia per la sicurezza pubblica». Erano le parole attese da una frazione del partito democratico, che praticamente da un anno sta cercando una via legale per detronizzare «The Donald». Il libro di Michael Wolff non ha fatto altro che accelerare e dare visibilità a un movimento finora un po’ carbonaro. All’inizio di dicembre erano 58 i deputati democratici pronti a mettere sotto accusa il presidente. Finora sulla base di motivazioni politiche. Il più esposto è Al Green, un parlamentare texano, che aveva anche preparato una mozione, poi bloccata da Nancy Pelosi, leader del partito alla Camera.
Adesso i nuovi dettagli sulla vita nascosta del presidente, i suoi scatti d’ira, le sue amnesie hanno rilanciato la discussione, spostandola sul piano medico-scientifico. Ogni frase di Trump assume un colore diverso: il «bottone nucleare più grande»? È la prova della sua pericolosa megalomania. Il suo linguaggio è sempre più incerto, incoerente, sincopato? Forse ha l’Alzheimer. E così via.
Ieri Trump ha reagito con rabbia a queste insinuazioni. Molto probabilmente la sua furia verrà usata dai suoi avversari contro di lui: visto? Abbiamo ragione, non si controlla più, è un pericolo pubblico. Il presidente avrebbe un modo semplice per troncare le voci: mantenere l’impegno annunciato dalla Casa Bianca l’8 dicembre scorso, subito dopo uno dei suoi discorsi più sconnessi. Trump verrà visitato tra qualche giorno dai medici del Walter Reed National Military Medical Center. I suoi portavoce hanno promesso che i risultati saranno resi pubblici.