«La malattia mi ha tolto la possibilità di amare»
Gli inizi degli anni 80 ci videro felici. Lo fui pure io: appena sposata, una figlia con occhi azzurri che parlava già da piccolissima. Ma è anche vero che mi furono rubati, così pensai per tutto quel decennio: mi ero ammalata. Non potei più passeggiare e prendere la bambina in braccio. La cucina nuova, le stanze appena dipinte, le librerie colme dei libri desiderati, gli abiti, i capelli gonfissimi, il lavoro intrapreso da poco, l’auto color burro che scivolava per le curve dei monti Iblei in Sicilia, gli acquisti facili, la casa al mare da arredare non mi interessarono più; mentre i medici e il ricovero a Ginevra mi sembrarono coperti dalla nebbia del dolore fisico che, avevo ormai compreso, non sarebbe più passato. Ho pregato malamente, assolvendomi in nome dell’amore, amore che aveva avuto fortune insperate e poi sfortune grandi. Ma sono sopravvissuta, dolorando e vivendo lo stesso. Ho poi avuto case piene di luce e bellezza, sempre; e abiti colorati negli armadi. Ho messo rossetti improbabili, gonne cortissime e calze doppie, scarpe invidiabili. Ho avuto amiche leggere e amici con sentimento. Ho scritto versi in un’età difficile, coprendo fogli su fogli e trovandomi diversa. Ho letto tutti i libri che volevo. Ma non ho detto più «Ti voglio bene».
Ogni domenica pubblichiamo il racconto breve — reale o di fantasia — scritto da un lettore