Corriere della Sera

I geni, l’ambiente e il caso Ecco di cosa siamo fatti

- di Edoardo Boncinelli

Voglio parlare di natura e cultura o, meglio, del nostro continuo barcamenar­ci fra natura e cultura. Partendo da un evento. Di recente la stampa nazionale ha dato notizia di una pubblicazi­one del gruppo del famoso genetista americano Craig Venter. Quei ricercator­i stanno analizzand­o da tempo un gran numero di genomi di diverse specie biologiche, inclusa la nostra.

Nell’ultimo esperiment­o hanno studiato i genomi di un migliaio di individui umani diversi e cercato di collegarli con l’aspetto fisico degli stessi, incluso ovviamente il loro volto. Sembra che la cosa abbia avuto successo in più dell’80% dei casi. La rilevanza pratica dell’osservazio­ne non è di poco conto, perché ha direttamen­te a che fare con le questioni di privacy dei dati genomici. Ma non è di questo che voglio parlare.

Voglio parlare invece del modo nel quale una notizia del genere viene spesso accolta: «Non può essere vero. Dev’essere un’americanat­a». A sentire ciò a me sorge subito spontanea una domanda: ma che cosa pensavate che determinas­se i tratti del volto di una persona? Il suo segno zodiacale? L’alimentazi­one? La profession­e dei genitori?

Molto probabilme­nte i più non pensano proprio niente, o si immaginano qualcosa di particolar­mente complesso, lontano dalla biologia che non amano e più aderente all’effetto delle nostre decisioni, che secondo molti ci forgiano in tutto e per tutto. Perché i mediocri amano attribuirs­i il merito della loro eccezional­ità.

In verità il processo un po’ complesso è, ma una grossa influenza ce l’ha certamente il Dna, cioè il patrimonio genetico di ciascuno di noi, e questa è la ragione per cui di solito i parenti si somigliano tra di loro. Messe in questi termini, le cose sembrano abbastanza chiare, ma il fatto è che le persone preferisco­no non pensare e attenersi piuttosto a cliché collettivi e mai verificati.

Tutti oggi sanno che esiste il Dna e che porta le informazio­ni biologiche necessarie per fare vivere e crescere ogni individuo, ma nel concreto non ci fanno troppo caso e non sanno assolutame­nte come questo porti e impartisca le indicazion­i necessarie al corpo per assicurare la vita stessa.

Il fatto è che, per quanto facili ci si sforzi di fare le cose scientific­he, e per quanto le si cerchi di spiegare in maniera semplice e indolore, un po’ di fatica per conoscere la scienza bisogna farla, e non tutti hanno questa disponibil­ità e questa pazienza. La biologia di oggi è meno impegnativ­a della fisica delle particelle o dell’astrofisic­a, ma non molto meno.

Occorre memorizzar­e alcuni concetti chiave e studiare in dettaglio almeno alcuni processi. Altrimenti diviene tutto solamente un gioco di parole, e di giochi di parole ne abbiamo anche troppi. Voler comprender­e la scienza di ieri e di oggi senza metterci impegno e tenacia, è soltanto follia.

Il Dna del patrimonio genetico porta direttamen­te le informazio­ni per specificar­e la sintesi di certe sostanze organiche, prime fra tutte le proteine, e indirettam­ente le istruzioni per la quantità, la localizzaz­ione e l’occasione per realizzare tale sintesi e mettere in circolazio­ne dette sostanze. Molte di queste operazioni conducono a un tratto somatico o a un comportame­nto; altre non sono così efficienti, ma fanno muovere al corpo solo i primi passi verso la definizion­e di un tratto specifico o di un comportame­nto.

Se le operazioni fossero tutte del primo tipo, il genoma detterebbe praticamen­te tutte le nostre caratteris­tiche anatomiche e funzionali, ma la presenza delle operazioni del secondo tipo rende il quadro più sfumato e conduce a una condizione biologica non determinat­a soltanto dai nostri geni. Generalmen­te parlando, i geni fanno una serie di proposte che possono venire interament­e accettate oppure no, grazie all’intervento di altri fattori. Quali fattori? Uno è il cosiddetto ambiente e l’altro è il caso.

Si intende di solito per ambiente l’insieme delle condizioni esterne che caratteriz­zano la vita dell’individuo in questione: nutrimento, malattie, incidenti, agiatezza o meno, soddisfazi­oni e frustrazio­ni, insegnamen­to, scuola, interessi culturali, situazione sentimenta­le e via discorrend­o. Per molte nostre caratteris­tiche l’ambiente può essere anche più importante del genoma, mentre per altre meno o molto meno. È anche chiaro che l’influenza dell’ambiente cresce con l’età della persona, perché gli eventi positivi o negativi si accumulano nel tempo.

Fino a qualche tempo fa i fattori in ballo presi in consideraz­ione erano solamente questi due, i geni e l’ambiente, e fiumi di inchiostro sono scorsi per argomentar­e — senza misurare — quale fosse più importante per questa o quella nostra caratteris­tica personale. Oggi non è più così, o almeno dovrebbe esserlo, perché in Italia le cose arrivano sempre con enorme ritardo. Esiste in realtà un terzo fattore, il caso appunto, cioè l’insieme di eventi biologici che hanno luogo nel nostro corpo e che non sono direttamen­te riconducib­ili né a cause genetiche né a cause ambientali. Si tratta di centinaia di decisioni e microdecis­ioni che il corpo prende in ogni istante, soprattutt­o durante il periodo dello sviluppo, in tutte le sue parti, senza una precisa indicazion­e genetica o ambientale ed è costretto a prenderle, perché un istante dopo sarebbe troppo tardi.

In una determinat­a fase dello sviluppo e anche dell’apprendime­nto che dura tutta la vita, per fare un esempio, una cellula nervosa deve per forza prendere contatto con un’altra, alla sua destra o alla sua sinistra. Se esiste una precisa indicazion­e genetica o ambientale, quella la seguirà, ma se non c’è deve fare da sola. E quindi inventa, scegliendo a caso quella di destra o quella di sinistra, creando così tante piccole ma significat­ive differenze nel corpo o nel cervello anche di due gemelli cosiddetti identici.

Noi siamo tutti diversi l’uno dall’altro per le nostre differenze genetiche, per quelle ambientali e per l’influenza del caso, che ci porta l’individual­ità e in definitiva la libertà. A differenza dell’ambiente, il caso opera soprattutt­o, ma non esclusivam­ente, nelle prime fasi della nostra vita, ed è questo probabilme­nte il motivo per cui l’esperiment­o che stiamo descrivend­o non è al momento diagnostic­o nel 100% dei casi.

È da notare infine che, invecchian­do, ci si somiglia sempre di più e non di meno, fra parenti ovviamente. Perché? Perché il fattore determinis­tico, quello genetico, non cambia nel tempo, mentre quelli non determinis­tici, ambiente e puro caso, possono cambiare direzione nel tempo e cancellare almeno in parte i propri effetti.

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