Mou-Conte, l’infinita guerra dell’orgoglio
José il «demente»: «Mai squalificato per scommesse». Antonio: «Piccolo uomo»
Il prossimo passo saranno i guantoni, perché a parole Mourinho e Conte ormai hanno dato il massimo. Aveva cominciato José sostenendo che non serve fare i clown in panchina per mostrare il proprio attaccamento al lavoro. Nessun nome, ma l’esegesi dei più ha condotto a Conte e a Klopp, l’allenatore del Liverpool. Sentendosi tirato in ballo, l’italiano aveva invitato Mou a «ripensare a ciò che faceva lui nel passato. Ma forse — ha aggiunto con grossa caduta di stile — soffre di demenza senile...».
José nella replica è partito cauto; ha spiegato che «stavo parlando di me e di come ora cerchi di controllarmi di più»; ha finto solidarietà: «Forse gli hanno fatto una domanda tendenziosa, capisco Conte». Poi, improvviso, il gancio al mento: «Io comunque non sono mai stato squalificato, né mai lo sarò, per avere truccato partite». Con riferimento, tecnicamente errato, ai quattro mesi di sospensione scontati da Conte nel 2012 per omessa denuncia.
Ieri sera il nuovo capitolo. «Quando offendi la persona e non conosci la verità, sei un piccolo uomo — ha detto Conte alla Bbc —. Forse lui è un piccolo uomo nel passato, nel presente e nel futuro».
In Premier la rivalità era scoppiata nel 2016 a Stamford Bridge dopo il 4-0 del Chelsea sul Manchester United, quando José accusò Antonio di avere voluto umiliarlo con la sua esultanza. Ma c’è altro prima: c’è Conte che ha ereditato (vincendo) il Chelsea che fu di Mourinho; c’è l’antico imprinting Juventus e Inter; c’è soprattutto da vincere — ormai già sfuggita a entrambi la Premier dominata dal City di Guardiola che li osserva ridendo dal suo Empireo — la Coppa Trump per chi ha più testosterone: la finale sarà Man United-Chelsea il 25 febbraio. A bordo ring è già tutto esaurito. E mentre il mondo si interroga e si schiera — meglio José o meglio Antonio? — forse la vera risposta è la terza: nessuno dei due.