I ribelli della Var. Ma così a che serve?
Alcuni arbitri la utilizzano e altri no. L’ipotesi di un fronte di fischietti anti tecnologia
La speranza dei vertici arbitrali era quella di chiudere senza errori troppo evidenti un girone di andata sperimentale ma positivo per dedicarsi alle correzioni. Ma i troppi e vistosi errori delle ultime settimane hanno riaperto il dibattito sulla Var in serie A. Perché alcuni arbitri la utilizzano e altri no? Perché alcuni la guardano e davanti al fallo evidente decidono in altro modo?
Circola fra i vertici arbitrali un’immagine efficace in queste ore tribolate per la Var, quella di «un gioiellino impacchettato bene e infiocchettato male», nel senso che è mancato il tocco finale: la metafora più o meno funziona nel senso che dal presidente Nicchi in giù la speranza collettiva era quella di chiudere senza sfondoni un girone d’andata sperimentale ma ampiamente positivo in modo da dedicarsi con una certa serenità d’animo alle (necessarie) correzioni durante la sosta, ma così non è stato. Troppi e troppo vistosi gli episodi che nelle ultime settimane hanno violentemente riaperto il dibattito sulle dinamiche della videoassistenza e che conducono tutti alla stessa domanda secca: ma così a cosa serve?
Già, perché alcuni arbitri la utilizzano e altri no? Perché Calvarese sul fallo di mano di Bernardeschi l’altra sera a Cagliari non è andato dare un’occhiata allo schermo? Che gli costava? E perché Mariani ha fatto lo stesso sulla bracciata di Mertens in Crotone-Napoli? Quesiti senza risposta — gli arbitri si ostinano a non parlare — e che però contribuiscono a fomentare una tesi sinistra smentita con sdegno dagli stessi vertici ma sempre più diffusa, e cioè che esista una sorta di fronda antitecnologica. Che si tratti di ribelli o molto più probabilmente solo di «soggetti meno abili con lo strumento», o che forse hanno preso troppo in parola l’invito dell’Ifab a dicembre di «limitarne l’uso» per evitare tempi troppo spezzettati, non sarebbe comunque un problema di Var bensì di uomini. Calvarese, per intenderci, non sarà un cavaliere della restaurazione che sentendosi sminuito nel suo ruolo sceglie il boicottaggio, figuriamoci, però il fatto che in tutto il girone d’andata (8 partite) non sia mai andato nemmeno una volta a bordo campo davanti alla moviola qualcosa significa. E non è un caso nemmeno che anche i suddetti vertici siano rimasti parecchio perplessi dalla sua gestione dell’episodio. Il concetto che gli hanno fatto recapitare è lo stesso che Rizzoli spedì a Giacomelli dopo i disastri di Lazio-Toro: vatti sempre a riguardare le immagini.
Dopo un autunno tutto sommato sereno sulla Var è insomma sceso un inizio d’inverno, proprio mentre oggi l’Inghilterra fa le prove in Brighton-Crystal Palace di Fa Cup. La conferma che, come ha ammesso Infantino, «il mondo continua a guardare alla serie A perché la Var funziona ed è il futuro». Nel cassetto di Rizzoli e Rosetti c’è un dossier che dimostra la bontà del loro lavoro: su 1000 casi analizzati fra ricorso alla moviola e silent check sono stati individuati solo 5 errori riconosciuti dall’Aia.
Briciole, anche se qualcosa come detto va sistemato, a partire da una maggiore omogeneità di procedura soprattutto sulle famigerate «valutazioni soggettive», tipo sui falli di mano. Partendo da un principio base: se c’è, la tecnologia si usi. Ecco perché a Coverciano in questi giorni sta nascendo un laboratorio stabile per allenarsi alla Var, con tanto di simulatori . Gli arbitri come i piloti di Formula 1. La tecnologia che aiuta la tecnologia.