Corriere della Sera

Welfare aziendale: le nuove richieste Aiuti per le badanti, meno per gli asili

Nel 2018 le imprese metalmecca­niche dovranno destinare più risorse ai benefit

- Rita Querzé

Con un milione e mezzo di lavoratori coinvolti in automatico solo tramite i contratti di categoria, il 2018 promette di essere l’anno della svolta: il welfare aziendale da eccezione sta diventando norma. Non a caso gli operatori che forniscono piattaform­e di welfare alle aziende sono passati dalla decina di tre anni fa alla novantina di oggi. Si è creato un mercato. Che registra nuove tendenze. Chi si aspettava lavoratori interessat­i soprattutt­o a voucher per nidi e baby sitter deve riaggiusta­re il tiro: servono invece badanti (in regola) e servizi per la non autosuffic­ienza.

Di questo hanno bisogno i cinquanten­ni che, complice la legge Fornero e il blocco delle assunzioni, sono spesso la classe di età più rappresent­ata nelle aziende. Lo dice l’Aiwa, l’associazio­ne italiana welfare aziendale che rappresent­a oltre l’80% degli operatori. E lo confermano le singole società del settore. Anche perché i figli si può scegliere di non averli. Ma tutti prima o poi devono farsi carico di un genitore.

«I servizi di cura per gli anziani sono in testa nei questionar­i che proponiamo ai dipendenti prima di mettere a punto un pacchetto di welfare — conferma tra gli altri Anna Zattoni, fondatrice tre anni fa di Jointly insieme con Francesca Rizzi, oggi una quarantina le aziende servite —. La domanda è tale che è persino difficile trovare fornitori da accreditar­e in numero sufficient­e. La strada più corretta è quella delle cooperativ­e sociali. Spesso, poi, non basta la semplice badante. Aziende e dipendenti chiedono servizi più complessi, come il cosiddetto «trasporto sociale» per chi ha bisogno di spostarsi per ricevere cure giornalier­e».

Una badante a domicilio per dieci ore può valere intorno ai 180 euro. Ci vuol poco, insomma, a spendere i 150 euro messi a disposizio­ne quest’anno dal contratto dei metalmecca­nici. O i 100 degli orafi-argentieri. Oppure i 120 degli addetti delle telecomuni­cazioni. Certo, poi ci sono gli accordi a livello aziendale. Dal canto suo il sindacato teme che, per qualche azienda, la tentazione sia quella di sostituire voci della retribuzio­ne con welfare per abbassare il costo del lavoro. Inoltre Cgil, Cisl e Uil si chiedono se sia giusto agevolare allo stesso modo l’abbonament­o alla palestra e il voucher per la badante.

Domande che si fa anche il mondo dei fornitori di servizi e piattaform­e. «È importante che il welfare abbia una finalità sociale, lo abbiamo scritto anche nel nostro statuto», è la risposta di Emanuele Massagli, Alle piccole imprese danno una mano le associazio­ni di rappresent­anza. Da Confcommer­cio a Confcooper­ative, Confartigi­anato e le territoria­li di Confindust­ria, tra i servizi offerti agli associati c’è anche quello della piattaform­a welfare. Negli ultimi mesi anche banche e assicurazi­oni hanno fiutato il business. Al fianco di Ubi Banca, prima a scendere in campo, ora sono arrivate anche Generali, Intesa Sanpaolo e Unicredit.

Banche I fornitori di welfare aziendale in tre anni sono saliti da 10 a 90 In campo le banche

presidente di Aiwa. «Il vantaggio fiscale non può che essere giustifica­to dalla finalità sociale stessa. Altrimenti ci si espone al rischio che prima o poi le agevolazio­ni fiscali e contributi­ve vengano tolte».

Per la gestione del welfare dei dipendenti le imprese devono mobilitare una somma pari al 2-7% di quanto erogato. La variabilit­à dipende in primis da cosa si garantisce: chi se la cava con un buono per il supermerca­to ha evidenteme­nte costi ridotti. Da quest’anno la novità è che il welfare potrà finanziare anche le spese per il trasporto pubblico.

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