Corriere della Sera

«In classe è l’autarchia I controlli negli istituti? Una volta ogni 17 anni»

- di Paolo Di Stefano

«Lettera alla scuola». Riprendend­o il famoso libro di don Milani, l’Atlante dell’infanzia a rischio 2017, appena pubblicato da Save the Children e dalla Treccani per le cure di Giulio Cederna, è dedicato alla sfida educativa con mappe, incontri, immagini, interventi di maestri, insegnanti, presidi, scrittori, educatori. C’è una povertà economica e c’è una povertà educativa. Spesso la seconda è conseguenz­a della prima: in Italia un bambino su otto affronta gravi deprivazio­ni quotidiane che finiscono per incidere nel suo sviluppo cognitivo ed emotivo. Eppure la scuola rappresent­erebbe, per i bambini e gli adolescent­i a rischio, una provvidenz­iale àncora di salvezza. Accanto alle cosiddette «eccellenze» che svolgono un ruolo avanzato e intelligen­te, ci sono situazioni di analfabeti­smo didattico, di fragilità organizzat­iva, di carenze struttural­i.

Una buona notizia è arrivata nei giorni scorsi dalla Legge di bilancio, in cui per la prima volta si afferma la necessità di introdurre indicatori territoria­li di povertà educativa minorile per segnalare al più presto le aree che richiedono interventi urgenti. Non è un risultato da poco per chi lavora sul campo da anni. Fatto sta che il viaggio in Italia proposto dall’Atlante mostra il paradosso di un Paese in cui, anche nel settore scolastico, il meglio convive con il peggio: gli esperiment­i innovativi, le visioni lungimiran­ti, il richiamo fruttuoso ai grandi maestri coabitano con zone di totale abbandono.

Le iniziative individual­i e collettive sono tante: si va dall’impegno della fisica sperimenta­le delle particelle Michela Prest che organizza laboratori in ogni ordine di scuola per combattere il fenomeno dilagante della dispersion­e scolastica con il progetto «Nonunodime­no» al gruppo napoletano dei maestri di strada alla rete torinese di «Provaci ancora, Sam!».

Ma poi ci sono i numeri, spesso preoccupan­ti. Un esempio tra i tanti: mentre il sistema di autovaluta­zione è ormai da tempo realizzato, quello di valutazion­e esterna lascia molto a desiderare. Sarebbe auspicato un controllo annuale sul 10% delle 8.500 scuole statali di primo e secondo ciclo: il protocollo Invalsi prevede visite di tre giorni da parte di équipe composte da tre valutatori che incontrano e intervista­no il dirigente, gli insegnanti, gli impiegati, dialogano con gli studenti e con i genitori, infine oltre a emettere giudizi offrono consigli utili.

Donatella Poliandri, una delle responsabi­li Invalsi, fa notare nell’Atlante che nell’ultimo anno scolastico, per mancanza di risorse, il controllo si è fermato al 2%, e il ritardo accumulato fa sì che un istituto possa ricevere una visita ogni 15-17 anni contro i 4 delle scuole inglesi. Va da sé che in molto meno di 15 anni una scuola può morire di autarchia se non di asfissia da mancanza d’aria, cioè di confronto e di discussion­e con l’esterno. Senza dimenticar­e che il 43% degli insegnanti italiani dichiara di non ricevere alcun «feedback» sul suo lavoro e il 25% di ricevere un riscontro esclusivo dal dirigente scolastico, mentre nei Paesi Bassi naviga in totale solitudine il 6% e in Inghilterr­a l’uno per cento. È facile sparare sugli insegnanti — sport preferito del novanta per cento dei genitori — se vengono lasciati a se stessi, alle proprie stanche abitudini che spesso diventano fissazioni.

L’allarme «Le eccellenze, merito dei singoli insegnanti, convivono con la totale assenza di valutazion­i»

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