«In classe è l’autarchia I controlli negli istituti? Una volta ogni 17 anni»
«Lettera alla scuola». Riprendendo il famoso libro di don Milani, l’Atlante dell’infanzia a rischio 2017, appena pubblicato da Save the Children e dalla Treccani per le cure di Giulio Cederna, è dedicato alla sfida educativa con mappe, incontri, immagini, interventi di maestri, insegnanti, presidi, scrittori, educatori. C’è una povertà economica e c’è una povertà educativa. Spesso la seconda è conseguenza della prima: in Italia un bambino su otto affronta gravi deprivazioni quotidiane che finiscono per incidere nel suo sviluppo cognitivo ed emotivo. Eppure la scuola rappresenterebbe, per i bambini e gli adolescenti a rischio, una provvidenziale àncora di salvezza. Accanto alle cosiddette «eccellenze» che svolgono un ruolo avanzato e intelligente, ci sono situazioni di analfabetismo didattico, di fragilità organizzativa, di carenze strutturali.
Una buona notizia è arrivata nei giorni scorsi dalla Legge di bilancio, in cui per la prima volta si afferma la necessità di introdurre indicatori territoriali di povertà educativa minorile per segnalare al più presto le aree che richiedono interventi urgenti. Non è un risultato da poco per chi lavora sul campo da anni. Fatto sta che il viaggio in Italia proposto dall’Atlante mostra il paradosso di un Paese in cui, anche nel settore scolastico, il meglio convive con il peggio: gli esperimenti innovativi, le visioni lungimiranti, il richiamo fruttuoso ai grandi maestri coabitano con zone di totale abbandono.
Le iniziative individuali e collettive sono tante: si va dall’impegno della fisica sperimentale delle particelle Michela Prest che organizza laboratori in ogni ordine di scuola per combattere il fenomeno dilagante della dispersione scolastica con il progetto «Nonunodimeno» al gruppo napoletano dei maestri di strada alla rete torinese di «Provaci ancora, Sam!».
Ma poi ci sono i numeri, spesso preoccupanti. Un esempio tra i tanti: mentre il sistema di autovalutazione è ormai da tempo realizzato, quello di valutazione esterna lascia molto a desiderare. Sarebbe auspicato un controllo annuale sul 10% delle 8.500 scuole statali di primo e secondo ciclo: il protocollo Invalsi prevede visite di tre giorni da parte di équipe composte da tre valutatori che incontrano e intervistano il dirigente, gli insegnanti, gli impiegati, dialogano con gli studenti e con i genitori, infine oltre a emettere giudizi offrono consigli utili.
Donatella Poliandri, una delle responsabili Invalsi, fa notare nell’Atlante che nell’ultimo anno scolastico, per mancanza di risorse, il controllo si è fermato al 2%, e il ritardo accumulato fa sì che un istituto possa ricevere una visita ogni 15-17 anni contro i 4 delle scuole inglesi. Va da sé che in molto meno di 15 anni una scuola può morire di autarchia se non di asfissia da mancanza d’aria, cioè di confronto e di discussione con l’esterno. Senza dimenticare che il 43% degli insegnanti italiani dichiara di non ricevere alcun «feedback» sul suo lavoro e il 25% di ricevere un riscontro esclusivo dal dirigente scolastico, mentre nei Paesi Bassi naviga in totale solitudine il 6% e in Inghilterra l’uno per cento. È facile sparare sugli insegnanti — sport preferito del novanta per cento dei genitori — se vengono lasciati a se stessi, alle proprie stanche abitudini che spesso diventano fissazioni.
L’allarme «Le eccellenze, merito dei singoli insegnanti, convivono con la totale assenza di valutazioni»