Corriere della Sera

La storia

- di Paolo Foschini

«Quando ho capito che Tiago era un bambino diverso dagli altri ero disperata. Il figlio della mia migliore amica aveva lo stesso problema, le sue condizioni erano peggiori. Mi dicevo: Dio mio, come ne usciremo? Oggi è un’altra persona, ma all’epoca... Aveva 2 anni. Ora ne ha 9 e a Vienna frequenta una scuola normale con gli altri bambini», dice lei. «È un bambino dolce, adorabile, è veloce, capisce al volo, è felice. Non puoi non amarlo», dice lui.

Lei è Anna Netrebko, soprano numero uno al mondo, recente protagonis­ta dell’Andrea Chenier di apertura alla stagione della Scala proprio accanto a lui, il baritono Yusif Eyvazov, incontrato in una Manon Lescaut a Roma nel 2014 e mai più lasciato. Il bambino, il figlio di Anna, si chiama Tiago. Il padre biologico, il cantante uruguaiano Erwin Schrott, se ne andò per la sua strada quando al piccolo fu diagnostic­ato che era autistico. Per la prima volta Anna racconta la propria storia e quella di Tiago. E lo fa sul numero di Buone Notizie in edicola domani con il Corriere. Non per mettere in piazza una vicenda personale, da sempre gestita con formidabil­e cura facendo le acrobazie con gli impegni di un lavoro che la porta da sempre in giro per il mondo, ma per lanciare due appelli di estrema positività.

Ma bisogna cominciare dal principio. Da quando il piccolo Tiago iniziò a manifestar­e i primi disturbi. La difficoltà per i rumori improvvisi, gli scatti d’ira. «Non era aggressivo» dice Anna, intervista­ta da Valerio Cappelli. «Ma non riusciva a esprimersi – interviene Yussif — e questo lo faceva arrabbiare». La cura, ricorda il soprano, arrivò quando lei era in America con lui: «Fu il sovrintend­ente del Metropolit­an, Peter Gelb, a indirizzar­mi al centro per bambini autistici Aba di New York. Gli diedero un punteggio alto di autismo: da 0 a 10, ebbe 8. Lo trovai eccessivo». Yusif: «I terapisti americani costano 150 dollari l’ora». Anna vorrebbe zittirlo, poi: «Non parlo di soldi, ma certo se non hai le possibilit­à economiche non vai da nessuna parte. Ecco perché le strutture sanitarie pubbliche europee dovrebbero attivarsi». «I medici Usa hanno saputo rompere il suo blocco verso il mondo esterno senza nessuna medicina, ecco, i sedativi dovrebbero essere eliminati», dice Yusif. Lo guarirono con le parole: «Tiago non voleva andare dal medico. I terapisti lo portavano di fronte allo studio: lì ci sono i dottori, vuoi vedere come lavorano? È un piccolo robot, vuole parlare delle cose che gli piacciono, i treni per esempio. Li disegna sempre. Da grande vuole fare il conducente di metropolit­ana».

Yusif lo tratta da sempre come fosse figlio suo. Ma conquistar­selo ha richiesto pazienza: «Tiago ha capito che ognuno ha un ruolo, la mamma gli permetteva tutto, ha capito che in casa c’è il poliziotto buono e il poliziotto cattivo». Anna: «Teme solo Yusif». «Una volta sono stato severo con lui. Sbatteva le porte, “vi odio”, ci urlava. Entrai nella sua stanza, Anna non c’era, lo guardai negli occhi: la prossima volta che fai così, ti prendo per i piedi e ti appendo al soffitto. Da quel giorno il nostro rapporto cambiò. Cominciò a fidarsi di me. Crescendo, ha capito che tutto quello che facevamo, lo facevamo per lui».

E gli appelli? Anna cerca le parole precise: «Il primo è che l’Europa intera deve dotarsi di veri centri medici specializz­ati che mancano nella lotta contro questa malattia. A Vienna, dove risiedo, mi dicevano che non potevano aiutarmi, non c’era nulla da fare, non erano attrezzati. Secondo: la competenza dei dottori, unita alla dolcezza dell’essere umano, può fare miracoli».

L’assistenza «Grazie ai medici di New York: a Vienna, dove vivo, dicevano di non poter fare nulla»

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