La vita (a tempo) degli oggetti
L’inchiesta in Francia sulle stampanti che si fermano quando c’è ancora inchiostro Accuse per «l’obsolescenza programmata»
La Procura di Nanterre ha aperto un’indagine preliminare sull’azienda Epson, sospettata di bloccare le sue stampanti quando le cartucce non sono vuote ma hanno ancora fino al 15 per cento di inchiostro. L’iniziativa dei magistrati francesi applica per la prima volta la legge del 17 agosto 2015 sulla transizione energetica, che qualifica come reato l’obsolescenza programmata, così definita: «L’insieme delle tecniche grazie alle quali un operatore sul mercato cerca di ridurre deliberatamente la durata di vita di un prodotto per aumentarne il tasso di sostituzione».
La legge francese, e adesso la prima inchiesta giudiziaria, danno un appiglio un po’ più solido a una convinzione poco dimostrata che tra i consumatori circola da più o meno un secolo: «Ci stanno sfruttando, le aziende fanno in modo che i prodotti non funzionino più per obbligarci a comprarne di nuovi». Questa idea, talvolta dotata di fondamento ma anche pericolosamente contigua alle teorie di complotto, accompagna il progresso tecnologico almeno da quando splende la lampadina della caserma dei pompieri di Livermore, California: anno 1901, e all’indirizzo centennialbulb.org si può controllare sulla webcam che dopo 117 anni è ancora accesa.
La lampadina è prodotto centrale quando si parla di obsolescenza programmata, perché la Centennial Light di Livermore dimostra che certi oggetti possono durare in eterno o quasi, e perché nel 1924 i costruttori Osram, Philips, General Electric e altri si riunirono nel cartello Phoebus che adottò uno standard internazionale per disciplinare tra le altre cose anche la vita «ragionevole» delle lampadine: non più di 1.000 ore.
Fu il primo caso, e non ne sono stati dimostrati poi molti altri, di obsolescenza programmata di un prodotto. In tutto il XX e anche in questo inizio di XXI secolo si è periodicamente affacciata la tentazione di incolpare le aziende per un fenomeno — il consumismo — del quale sono largamente corresponsabili i consumatori.
L’Agenzia governativa francese per l’ambiente e per il controllo dell’energia (ADEME) ha pubblicato nel giugno 2017 un rapporto dall’eloquente titolo «Cassetti pieni di vecchi telefonini: consu- matori e oggetti dalla obsolescenza percepita». Non programmata, percepita.
Un francese su due è convinto che in particolare le aziende di telefonini riducano volontariamente la durata dei loro prodotti (sondaggio OpinionWay del febbraio 2016). Ma, fa notare lo studio della ADEME, «l’88 per cento dei telefoni portatili che vengono rimpiazzati funzionano ancora. Si tratta di una obsolescenza scelta, e non subita. La metà dei telefonini rimpiazzati viene conservata, per un motivo utilitaristico (può sempre servire), sentimentale (è un ricordo) o economico (prima o poi si potrebbe rivendere)».
Questo studio torna utile adesso che, secondo molti, la Apple è stata presa in flagrante delitto di obsolescenza programmata, dopo che la società ha ammesso di rallentare volutamente i vecchi modelli di iPhone in modo che non si spengano all’improvviso, perché non sono più in grado di gestire gli aggiornamenti del sistema operativo. I prodotti Apple di solito durano molto a lungo, ma la manovra è sicuramente discutibile. Le class
action in corso negli Stati Uniti e le denunce presentate in Francia e in Svizzera porteranno a chiarire se si tratta in effetti di obsolescenza programmata o meno.
Ma anche nel caso Apple, entrano in gioco la psicologia e i desideri dei consumatori (pronti a passare al «miglior iPhone mai costruito» anche quando gli avanzamenti non sono significativi), e un elemento ancora più vecchio della Centennial Light, ovvero il progresso tecnologico. Lo stesso che oggi produce automobili meno inquinanti, più sicure e più durevoli di un tempo.
Laetitia Vasseur, fondatrice dell’associazione HOP (Halte à l’obsolescence programmée) dice che «dobbiamo rallentare, la vita diventa frenetica, viviamo in una società dello stress e dell’angoscia permanente». Sul banco degli accusati allora, più che l’obsolescenza programmata, rischia di finirci il capitalismo.