Bergoglio e il «dialetto» dell’amore in famiglia
Papa Bergoglio CITTA’ DEL VATICANO ama il lunfardo, il dialetto di Buenos Aires, e in casa ha conosciuto le parlate piemontesi e liguri, subendone il fascino: capita dunque che spesso lodi i dialetti. Lo ha fatto anche ieri, parlando ai genitori dei 34 bambini che ha battezzato nella Cappella Sistina: «Io voglio dirvi una cosa soltanto, che riguarda voi: la trasmissione della fede soltanto può farsi in dialetto. Nel dialetto della famiglia, nel dialetto di papà e mamma, di nonno e nonna».
«Poi verranno i catechisti — ha detto ancora — a sviluppare questa prima trasmissione, con idee, con le spiegazioni. Ma non dimenticatevi questo: si fa in dialetto, e se manca il dialetto, se a casa non si parla fra i genitori quella lingua dell’amore, la trasmissione non è tanto facile, non si potrà fare».
Si è capito presto che non stava invitando a un uso particolare del dialetto, ma aveva a cuore il rapporto ravvicinato che — a suo parere — dev’essere alla base dell’educazione familiare e anche di quella religiosa: «Non dimenticate che il vostro compito è trasmettere la fede, ma farlo con l’amore della casa vostra, della famiglia». A un certo punto, sentendo i bambini piangere ha detto: «È il dialetto dei bambini». Con un uso analogo della parola «dialetto», più metaforico che linguistico, in un’altra occasione aveva così ammonito i partecipanti a un convegno romano: «La preghiera fatela in romanesco». Voleva dire che nel pregare è importante essere autentici, spontanei, aderenti alla vita d’ogni giorno.
In quest’amore sia linguistico sia simbolico ai dialetti si vede un riflesso della passione di Bergoglio per le periferie e di quella che chiama «cultura dell’incontro» e che descrive come scelta di dare priorità, in ogni impegno o scelta, al rapporto con le persone.