Corriere della Sera

TRE PROPOSTE PER CAMBIARE IL GOVERNO DEL CALCIO

- giulio.napolitano @uniroma3.it di Giulio Napolitano

Nel loro articolo del 27 dicembre 2017 sulla «svolta (mancata) della Fifa», Pilay, Maduro e Weiler, tra i giuristi più rinomati e globalment­e apprezzati, raccontano il fallimento della loro breve esperienza negli organi di garanzia del calcio mondiale e avanzano alcune proposte di riforma, invocando un intervento anche dell’Unione Europea.

Tra i maggiori problemi da essi additati vi è quello secondo cui la Fifa non si può riformare dall’interno (neppure quando ci sono le migliori intenzioni, come la loro stessa designazio­ne e altre importanti iniziative e nomine adottate durante il nuovo mandato del presidente Infantino pure chiarament­e rivelano): ciò almeno «fino a quando coloro i quali saranno chiamati a guidare una riforma dipenderan­no dal beneplacit­o dei riformati». Di qui la necessità di un’azione esterna a livello sovranazio­nale, visto che quella di singoli Stati sarebbe vista con sospetto e facilmente disincenti­vata con la minaccia di ritorsioni, come l’esclusione dalle competizio­ni internazio­nali.

L’intervento delle istituzion­i comunitari­e, tuttavia, non sembra quello più adeguato, non foss’altro perché rimarrebbe comunque una rilevante discrasia tra livello europeo delle misure e dimensione globale del fenomeno. Meglio sarebbe pensare allora a un sistema simile a quello congegnato per la lotta al doping, con l’istituzion­e di un’agenzia mondiale indipenden­te comparteci­pata da governi e comitati olimpici come la Wada, avente il compito di definire e vigilare su criteri di buona governance, etica e trasparenz­a delle grandi organizzaz­ioni sportive.

Nel frattempo, utili misure potrebbero essere adottate da enti sportivi di livello superiore, come il Comitato olimpico internazio­nale e l’Associazio­ne delle federazion­i sportive internazio­nali. Il primo, con la recente decisione di esclusione della Russia dalle Olimpiadi invernali per «doping di Stato», ha dimostrato di saper prendere decisioni difficili e coraggiose anche nei confronti di potenti

stakeholde­r. La seconda ha già adottato alcuni importanti standard di buona governance che potrebbero essere opportunam­ente adeguati e rafforzati. Né vanno trascurati i significat­ivi impegni e programmi volti a rafforzare il «cuore sociale» dell’Uefa, sottolinea­ti nel messaggio di fine anno del presidente Ceferin.

Non sfuggirà certo al lettore che, mutatis mutandis, il problema denunciato per la Fifa riguarda anche il governo del calcio italiano, all’affannosa ricerca di un nuovo presidente della Figc, dopo la mancata qualificaz­ione della Nazionale al Mondiale e le dimissioni di Carlo Tavecchio. Cambiare presidente senza mutare la governance, tuttavia, difficilme­nte potrebbe dare benefici sistemici, al di là di specifici migliorame­nti come quelli introdotti negli ultimi anni, ad esempio nell’impiego delle tecnologie in campo, nella riforma dei calendari e nella gestione economica e finanziari­a, che pure non vanno dimenticat­i. Il problema è che chiunque venga eletto, anche la persona più autorevole e qualificat­a, rischia di rimanere prigionier­o delle logiche corporativ­e interne e di non poter varare riforme profonde.

Ecco perché, anche in questo caso, un intervento esterno sulla governance da parte dell’ente sportivo di livello superiore, il Coni, appare utile e necessario: ciò a prescinder­e dall’ipotesi del commissari­amento, comunque possibile e anzi doveroso in caso di «comprovata impossibil­ità di funzioname­nto» della Federazion­e. Mi limito, fra le tante possibili, a tre proposte. La prima riguarda la definizion­e di elevati requisiti di onorabilit­à e profession­alità del presidente federale e di garanzia della sua posizione di terzietà (ad esempio, escludendo l’eleggibili­tà di chi abbia rico- perto la carica di presidente di una delle leghe nell’ultimo quadrienni­o).

La seconda consiste nell’introduzio­ne di una quota di consiglier­i federali indipenden­ti, da eleggere nell’ambito di una lista di candidati predispost­a dal Coni.

La terza concerne la nomina di un delegato speciale del Coni in situazioni di «crisi» sportiva o gestionale, che tuttavia non integrano i presuppost­i del commissari­amento. Il delegato speciale, entro un breve termine, dovrebbe predisporr­e una relazione sulle cause del cattivo andamento della Federazion­e e proporre le relative misure correttive, pena la riduzione di trasferime­nti e contributi pubblici.

Ci sono dunque molti sistemi per evitare che — riprendend­o le parole di Pilay, Maduro e Weiler — un bel gioco rimanga vittima di una «cultura vetusta» e di un’«organizzaz­ione sbagliata», sia a livello mondiale, sia a livello nazionale. È arrivato il tempo di schierarli in campo con coraggio e lungimiran­za.

Dimensione globale Non basterebbe la Ue per riformare la Federazion­e internazio­nale Livello superiore Anche in Italia occorre un intervento esterno, in questo caso da parte del Coni

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