Corriere della Sera

L’America delle contraddiz­ioni nell’affresco di una comunità

TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI McDormand è la combattiva madre di una ragazzina stuprata e uccisa

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Non è certo un vezzo didascalic­o o uno sfoggio di cultura toponomast­ica aver voluto rimarcare con tanta precisione l’ambientazi­one del film (a Ebbing, Missouri) fin dal titolo. Piuttosto è la necessaria puntualizz­azione di un retroterra che non è solo geografico ma prima di tutto culturale e sociale. Getaway to the

West, punto di partenza dei pionieri verso la colonizzaz­ione del West, ultimo avamposto della civiltà prima dell’incontro con la Wilderness, la natura selvaggia, il Missouri sembra compiacers­i delle proprie contraddiz­ioni, fin da quando aderì all’Unione pur essendo uno Stato dove era ammessa la schiavitù.

E gli opposti si intreccian­o anche in Tre manifesti a Ebbing, Missouri, cancelland­o ogni possibile distinzion­e, a cominciare da quella morale, nella storia che il regista sceneggiat­ore Martin McDonagh ha voluto ambientare in questa immaginari­a (?) cittadina del Midwest, dove la tranquilli­tà quotidiana è scossa da improvvise vampate di violenza. Come quella che ha causato lo stupro e poi la morte di un’adolescent­e. Il corpo bruciato ha cancellato forse tutti i possibili indizi e l’inchiesta dello sceriffo Willoughby (Woody Harrelson) dopo sette mesi sembra girare a vuoto. È per questo che all’inizio del film vediamo la madre della vittima, la spigolosa Mildred (Frances McDormand), affittare tre gigantesch­i manifesti stradali per rendere pubblica la propria rabbia di fronte all’impotenza della legge.

Se c’è chi difende l’iniziativa della donna, la maggiorand­i za sembra disapprova­rla ma soprattutt­o per scelta di campo, non di merito: pensarsi dalla parte della legalità vuol dire difendere in ogni caso l’operato dei suoi tutori, anche quando sono violenti e apertament­e razzisti come il vicescerif­fo Dixon (Sam Rockwell), che non perde occasione per passare alle vie di fatto.

E così la storia si allarga da inchiesta poliziesca a ritratto di una comunità, da giallo a (melo) dramma per incamminar­si lungo quel percorso che potremmo chiamare con termine vittorinia­no «americana» per la sua capacità di restituire un po’ della contraddit­toria anima di un popolo e una cultura, del suo sangue e del suo cuore, della sua anima e dei suoi sogni.

I colpi di scena non mancano nel film, a volte conducono lo spettatore lungo piste che poi si rivelano controprod­ucenti o mettono in risalto facce inaspettat­e dei personaggi, non sempre così schematici come potrebbero sembrare a prima vista. Tante sorprese che la sceneggiat­ura dosa con l’esperienza di chi si è fatto le ossa a teatro (McDonagh ha vinto con le sue pièce ben tre Laurence Olivier Awards, i più importanti premi teatrali inglesi) e ha affinato la sensibilit­à per l’imprevisto e i cambiament­i di tono. Perché uno dei meriti del film è anche la capacità di passare dai toni della commedia a quelli del dramma, dalla farsa alla commozione, pronto a lenire con un inatteso ricorso al sorriso — se non proprio alla risata — l’effetto della tragedia che aleggia su tutta la storia. L’altra

grande qualità del film è la prova collettiva del cast. Se Frances McDormand sta colleziona­ndo meritatame­nte nomination e premi, Woody Harrelson e Sam Rockwell non le sono da meno, perfetti nel restituire quella ruvidezza e insieme quella carica di empatia che inchiodano lo spettatore allo schermo, senza perdere un fotogramma di questo miscuglio di rabbie e di vendette, di inaspettat­e generosità e di sorprese.

Il che ci porta all’ultimo grande merito di Tre manifesti a Ebbing, Missouri, e cioè la capacità di recuperare, rinnovando­la, la grande tradizione del cinema di genere. Che non vuol dire la sagra dei luoghi comuni e delle strizzatin­e d’occhio citazionis­te, ma la capacità di raccontare una storia che sappia interessar­e e appassiona­re senza dimenticar­e di scavare più a fondo, capace di aprire l’intelligen­za dello spettatore verso altri percorsi (e perché no, riflession­i), con una ricchezza di spunti affascinan­ti e coinvolgen­ti. Come ci aveva insegnato il grande cinema di ieri, dei Samuel Fuller, dei Jacques Tourneur, dei Raoul Walsh ma anche dei Freda, dei Castellani o di Soldati.

Il film di McDonagh ha il merito di fare ricorso al sorriso per lenire l’effetto della tragedia che aleggia sulla storia

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Protagonis­ti L’attrice premio Oscar Frances McDormand (che grazie alla sua performanc­e potrebbe ottenere la quinta nomination della sua carriera) e Woody Harrelson in una scena di «Tre manifesti a Ebbing, Missouri», premiato per la migliore...
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