LA TELA DI RAGNO DI FORZA ITALIA PER IRRETIRE IL CARROCCIO
L’analisi del Movimento 5 Stelle fatta dal presidente uscente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, somiglia più a quella di Silvio Berlusconi che del suo leader leghista Matteo Salvini. Sostenere di avere la «sola preoccupazione» che possa assumere un incarico di governo Luigi Di Maio, che sarebbe «la sindaca Raggi al cubo», è opinione condivisa nel centrodestra: soprattutto nelle file di Forza Italia. Salvini, invece, nei mesi scorsi non ha nascosto la tentazione di trattare col candidato premier Di Maio, appunto, se dopo le elezioni non emergesse una maggioranza. E il dialogo non è andato avanti solo per il rifiuto dei grillini.
Si tratta di un neo vistoso nel clima concorde e quasi di festa preventiva che ha accompagnato il vertice di domenica a Arcore, nella villa di Berlusconi. E sembra la conferma di una strategia che, da FI a Fratelli d’Italia, tende a condizionare le mosse della Lega anche dall’interno: almeno nel senso di escludere qualunque intesa con i seguaci di Beppe Grillo. Sotto questo aspetto, Maroni può rivelarsi una pedina fondamentale. Promettendo lealtà a Salvini nonostante le differenze di vedute, e mostrandosi disponibile a candidarsi, il governatore si pone come futuro mediatore con Berlusconi.
Ricorda di sapere «cosa vuol dire governare». E evocando «un’Italia ridotta a Spelacchio», il controverso albero di Natale messo dai grillini in piazza Venezia, a Roma, scomunica il dialogo con il M5S. Il problema è che Salvini ha scomunicato da tempo, e continua a esorcizzare qualunque «inciucio» tra Berlusconi e il Pd renziano dopo le elezioni. Rimane dunque da capire quale delle due scomuniche prevarrà, una volta analizzati i numeri parlamentari dei tre schieramenti. Le premesse parlano di una sostanziale unità del centrodestra nella prospettiva della vittoria, o quasi.
Ma se, come è probabile, la vittoria sfuma, bisognerà guardarsi intorno; e scegliere con chi allearsi. Dal centrosinistra, ha confermato al Corriere il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, arrivano messaggi concilianti verso Berlusconi. Il problema è se una prospettiva del genere produrrà lo strappo di una Lega che sta costruendo l’identità sul «no» a qualunque accordo con gli avversari, e candida Salvini a premier. L’equilibrio tra i due principali alleati del centrodestra è solido fino alle elezioni. Ma dopo, potrebbe rivelarsi più fragile di quanto appaia.
Colpisce la determinazione con la quale Berlusconi accerchia la strategia leghista. L’inserimento di una formazione centrista dopo il vertice a tre di Arcore, unito all’antico rapporto con Umberto Bossi e Maroni, conferma il tentativo di ridare alla coalizione una silhouette moderata. Pazienza se poi lo stesso Berlusconi si condanna di nuovo a una campagna elettorale con promesse irrealizzabili; e può al massimo mettere nel simbolo la parola «presidente», essendo tuttora ineleggibile. Al momento, la sua competizione è per il primato su Salvini. Solo a urne aperte deciderà come spenderlo.