Fiamme a casa Trump E il presidente contratta l’audizione da Mueller
Incendio alla torre, ma il vero guaio resta il Russiagate
Il tweet Gli uomini e le donne dei vigili del fuoco sono veri eroi e meritano il nostro più sincero grazie Sul tetto Settanta vigili del fuoco per un cortocircuito partito dall‘impianto di climatizzazione
Incendio nella Trump Tower rapidamente domato dai vigili del fuoco di New York, che vengono altrettanto tempestivamente ringraziati dal figlio del presidente, Eric Trump, con un tweet nel quale loda il loro intervento efficace e professionale («Sono arrivati entro pochi minuti, hanno fatto un lavoro incredibile») e poi li definisce «veri eroi».
Quando c’è di mezzo The Donald, si sa, tutto rischia di diventare favola o incubo, comunque esagerazione, ma l’incidente all’alba di ieri è un tipico episodio newyorchese: una colonna di fumo si alza da uno dei più celebri edifici del mondo e la notizia arriva subito ovunque, benché il presidente non sia lì, è alla Casa Bianca. E abbia ben altre preoccupazioni: il super procuratore Robert Mueller, che indaga sul Russiagate, sarebbe intenzionato a interrogarlo nelle prossime settimane. Lo fa sapere al Washington Post una fonte vicina al presidente riferendo di un incontro di dicembre tra il vice di Mueller, James Quarles, e i legali di Trump, che ora studiano come evitare un faccia a faccia dal vivo o limitarne la portata.
L’incendio alla torre non ha rappresentato nessun pericolo per le persone: le fiamme si sono sprigionate sul tetto, partite da colonne che dovrebbero raffreddare le macchine che climatizzano il grattacielo. In questi giorni di gelo polare l’impianto è stato sottoposto a un superlavoro e si è surriscaldato.
Il comando del FDNY, il «fire department» della città, ha contato solo tre feriti leggeri per la caduta di detriti. Sono un vigile del fuoco, un dipendente della Trump Tower e un passante. I 70 pompieri accorsi non sono un riguardo esagerato per il presidente: chi vive a New York sa che quando c’è un allarme i pompieri arrivano sempre in forze da varie caserme della zona. A maggior ragione quando l’allarme proviene da un grattacielo.
Insomma incidente minore, ma la notizia ha fatto ugualmente il giro del mondo perché la Trump Tower non è solo la residenza della famiglia presidenziale, ma è anche un simbolo. È la cattedrale della ricchezza e del potere del tycoon divenuto presidente, ma anche il luogo dal quale è partita la sua sfida politica — la decisione di candidarsi annunciata mentre scendeva nell’atrio dell’edificio su una scala mobile — e quello nel quale si sono materializzate le sue contraddizioni e i suoi eccessi.
Trump si è candidato come nemico degli immigrati, soprattutto quelli clandestini che ora perseguita (più a parole che nei fatti), ma quando, durante la campagna elettorale, un suo avversario per la nomination repubblicana, Marco Rubio, lo accusò di aver costruito la Trump Tower col lavoro di operai clandestini polacchi, Donald non negò: si limitò a dire che era storia di trent’anni prima e che tutti, al tempo, furono felici.
Ma la Trump Tower è anche il simbolo della tendenza del presidente immobiliarista ad esagerare, senza preoccuparsi troppo del rispetto della verità. Trump ha parlato spesso del suo attico al 68esimo piano della torre (il suo appartamento occupa tre piani), ma i media, data una rapida occhiata alle mappe catastali, hanno fatto presto ad accorgersi che l’edifico, in realtà, di piani ne ha solo 58. Lui sostiene che, siccome l’atrio ha soffitti molto alti come anche i primi piani di uffici, ha legittimamente dichiarato il primo livello di appartamenti 30esimo piano, anche se i piani sottostanti sono solo 19. Sotterfugi del genere sono stati usati anche da altri costruttori ( gli appartamenti che si vendono meglio sono quelli ai piani alti), ma nessuno ha mai truccato le carte in modo così sfacciato.