L’eccezione italiana All’estero gli scarti sono una risorsa
Il ping pong di accuse reciproche è da capogiro. Paroloni e tecnicismi sono così astrusi da disorientare la gente comune (cosa sarà mai un tritovagliatore?). Insomma, quei sacchi di immondizia che ancora ieri a pranzo infestavano marciapiedi a due passi da via Veneto restano per la maggioranza dei romani (e degli italiani) un evento esoterico, una dannazione da attribuire a questo o a quel partito avverso. Peccato, perché ci sarebbe una domandina semplice per inquadrare il problema: come mai i rifiuti sono oro in buona parte del mondo evoluto e da Roma in giù diventano una peste micidiale e ricorrente? Berlino, per dire, da dodici anni ha raggiunto l’obiettivo zero discariche. Vienna ha fatto della propria immondizia un successo turistico, con l’inceneritore di Spittelau multicolore quanto un minareto (su progetto dell’architetto ecologista Hundertwasser), libero dai veleni, utile ed economico (riscalda 60 mila case). Gli olandesi guadagnano smaltendo la «munnezza» partenopea di de Magistris e persino il buon Pizzarotti ha rotto con Grillo acconciandosi al prezioso inceneritore di
Politiche virtuose Berlino da 12 anni ha raggiunto l’obiettivo zero discariche Vienna ha reso il suo inceneritore griffato un successo turistico
Parma dove, gira e rigira, potrebbe pur finire parte dei rifiuti romani. La parabola capitolina, con annessa collisione preelettorale tra M5S e Pd, è insomma metafora del peggior Paese. I dem non hanno lezioni da impartire: hanno gestito a lungo Roma coi loro uomini e alla chiusura di Malagrotta, voluta da Ignazio Marino sotto minaccia di sanzioni europee, non corrispondeva un piano plausibile. Gli anni di commissariamento hanno poi deresponsabilizzato i partiti. Ma i grillini sapevano a cosa andavano incontro e, ciò nonostante, ci sono andati con l’insostenibile leggerezza di Virginia Raggi, l’ideologica avversione per i termovalorizzatori e l’irraggiungibile obiettivo del 70 per cento di differenziata. In egual modo, tuttavia, non è sostenibile l’abuso fazioso dell’argomento: ridicolo parlare di «immondizia 5 Stelle» quando il problema è drammaticamente collettivo. Napoli e la Campania l’hanno dimostrato con le loro vicissitudini. Nel 2015 la Ue ha condannato l’Italia (tutta) per la gestione (campana) dei rifiuti: paghiamo, tutti noi, dalle Alpi a Lampedusa, una multa da 120 mila euro al giorno per un guaio che nessuno nella sede della Regione di via Santa Lucia è mai riuscito ad affrontare seriamente. In Sicilia, Nello Musumeci s’è insediato tra discariche al collasso e punta a ottenere dal governo l’emergenza ambientale. Un’emergenza che in Calabria dura almeno da tre lustri. Roma è insomma capitale di quel pezzo d’Italia dove la Nimby (la sindrome del «non nel mio cortile») blocca gli impianti (contro l’inceneritore di Acerra, al tempo di Bassolino, si schierarono vescovi, antagonisti e capibastone), si sposa con un ecologismo giacobino (quando non opaco) e con élite ad esso sottomesse perché schiave del consenso giorno per giorno. I rifiuti sono la cartina di tornasole della maturità di una classe politica e della sua base costituente: perciò la storia della nostra mondezza è storia della disunità d’Italia.