I Globes delle donne
Domina il caso Weinstein. Trionfa «Tre manifesti a Ebbing, Missouri» Star in nero contro le molestie «A Hollywood mai così unite» Ironie dal palco anche su Allen
È stata la notte delle donne, la notte delle prime volte, la notte dei messaggi. È stata la notte più nera della storia dei Golden Globe. Nera come gli abiti, che hanno sfilato sul tappeto rosso: per sostenere la battaglia «Time’s Up», contro le molestie, nel primo grande evento dopo lo scandalo Weinstein, le attrici (tutte) e gli attori (diversi, attraverso la scelta della camicia) hanno indossato questo colore, trasformando il consueto e potentissimo impatto estetico di Hollywood in un messaggio ribadito e consegnato al mondo a ogni scatto di flash.
Nera anche come molti dei presenti della cerimonia, di cui l’assoluta protagonista è stata Oprah Winfrey. Ritirando il suo premio alla carriera — prima donna afroamericana a riceverlo — l’attrice ha parlato per dieci minuti, in quello che è presto apparso un discorso difficile da dimenticare. Ha riflettuto sulle discriminazioni, di genere e razziali, due temi che sono rimasti al centro di tutta la cerimonia, più seria del solito, tranne per qualche lampo (quasi sempre su questi argomenti), del conduttore Seth Meyers, che — cosa piuttosto inedita — non ha risparmiato dalle sue battute nemmeno un intoccabile come Allen: «Quando ho sentito di un film in cui una giovane donna ingenua si innamora di un disgustoso mostro marino, ho pensato: no, non un altro film di Woody».
Le allusioni allo scandalo che ha appannato lo sfavillio del mondo del cinema non sono state poche: «Per i candidati maschili in sala — ha detto anche —, stasera per la prima volta in tre mesi non sarà terrificante sentire il loro nome letto ad alta voce». Non lo è stato di certo per Sterling K. Brown, primo afroamericano a vincere il Globe come miglior attore in una serie tv
(This Is Us) che ha ringraziato gli sceneggiatori per aver scritto un personaggio «pensato apposta per un nero».
Le donne, come mai prima, sono state le vere protagoniste. Perfino quando non sono salite sul palco. Lo sono state Reese Witherspoon («A Hollywood non siamo mai stati così uniti. Siamo qui anche per chi non viene ascoltato»), Emma Stone, Meryl Streep («Le persone ora sono consapevoli di uno squilibrio di potere che ha portato ad abusi ovunque nel mondo del lavoro») e Shonda Rhimes: insieme hanno lanciato l’iniziativa «Time’s Up».
Lo è stata Natalie Portman, che annunciando le nomination per la miglior regia, ha ribadito il fatto che fossero nomi «di soli uomini». L’espressione contrariata di Guillermo del Toro — che poi ha vinto con La forma dell’acqua — fa capire quanto siano state potenti quelle poche parole. Lo sono state le protagoniste delle storie dei film che hanno vinto. Quella interpretata da Frances McDormand in Tre manifesti a Ebbing, Missouri: cinque riconoscimenti tra cui miglior film e miglior attrice protagonista. E quella con il volto di Saoirse Ronan, a cui è andato il Globe come miglior attrice di commedia per Lady Bird, che ha vinto anche come miglior commedia, diretto da un’altra donna, Greta Gerwig.
Serata per nulla italiana: niente statuette né per Guadagnino e il suo Chiamami
con il tuo nome, ma nemmeno per Helen Mirren e Jude Law, attori per Virzì e Sorrentino.
Tra gli altri premiati James Franco, miglior attore in una commedia con il suo The Disaster Artist. Ha indossato la spilla contro le molestie, «per alzare la voce in difesa delle donne». Facendo intravedere anche lui, nella notte più nera di Hollywood, l’alba di un nuovo giorno all’orizzonte.