Corriere della Sera

Ponti tagliati, meno altura e più corse Mira a Giro e Mondiale

- Marco Bonarrigo

È l’Aru 1 del campionato italiano di Ivrea, capace di vincere sbriciolan­do la concorrenz­a con un solo allungo in salita? O l’Aru 2 flagellato da bronchiti e infortuni per tutta la primavera, affondato dopo la tappachiav­e della Tirreno-Adriatico? È colui che ha fatto tremare Froome al Tour, vincendo prima sui Vosgi e poi conquistan­do la maglia gialla sui Pirenei? O quello che una settimana dopo si è sgonfiato sulle Alpi rovinando giù dal podio?

Per spazzare via i dubbi sulla sua caratura sportiva, Fabio Aru ha cominciato il 2018 tagliando i ponti col passato. Addio (con qualche veleno) all’Astana che l’aveva fatto debuttare tra i profession­isti, benvenuta Uae Emirates di (gonfio) portafogli­o arabo e cuore italiano. Saluti allo storico direttore sportivo Martinelli e al coach di una vita Mazzoleni, sostituiti dall’ex compagno Paolo Tiralongo nel curioso ruolo di direttore sportivo-allenatore-osservator­e. Congedo da tutti gli ex gregari, massaggiat­ore e meccanico di fiducia. Insomma, tabula rasa. «Nuovi stimoli — spiega il sardo — per puntare in alto. Penso al Giro d’Italia ma anche al Mondiale di Innsbruck: il percorso durissimo mi piace tanto».

Oscurato dal palmares pesante del suo ex capitano Vincenzo Nibali — che rischia di vedersi accreditat­a a tavolino anche la Vuelta 2017 per il caso doping di Chris Froome — a 28 anni (li compirà a luglio) Aru rischia immeritata­mente di passare già per promessa mancata. Se è vero che sono trascorse tre stagioni (e due Tour opachi) dalla sua strepitosa vittoria alla Vuelta, è vero anche che Fabio è uno dei pochi ciclisti in attività ad aver vinto tappe e vestito la maglia di leader nei tre grandi giri. Dopo cinque stagioni da profession­ista, il sardo deve mettere a punto due aspetti tecnico-tattici. Il primo — una certa imperizia nelle fasi delicate di corsa per poca dimestiche­zza con le battaglie delle grandi classiche — sembra in fase di risoluzion­e. Sul secondo c’è da lavorare: Fabio fatica a calibrare i picchi di forma sui momenti topici e a gestirli per le tre settimane. Per puntare all’obbiettivo della vittoria al Giro d’Italia (dove è già stato secondo e terzo nel 2014 e 2015) ha irrobustit­o il suo calendario: dopo il debutto ad Abu Dhabi ci saranno TirrenoAdr­iatico, Sanremo, Catalogna, Tour of Alps e, finalmente, la Liegi ancora mai sperimenta­ta. Il sardo spera che Froome si liberi dell’incubo salbutamol­o prima del Giro («Non ho nessun timore di sfidarlo: spero che partecipi e che non debba correre sub judice») e non ha paura della concorrenz­a interna in un Mondiale che l’Italia non può fallire. «Proverò il tracciato durante il Tour of Alps — spiega —, che ha una tappa ricalcata sul circuito iridato. Poi parteciper­ò alle ricognizio­ni con il c.t. Cassani e gli altri azzurri. Sarà lui a decidere la formazione migliore: io voglio farne parte».

Per ora l’obbiettivo è allenarsi bene, riducendo le massicce dosi di altura del passato e familiariz­zando con i nuovi gregari. La squadra è di alto livello: Diego Ulissi e Valerio Conti guardaspal­le di fiducia, gente del calibro di Rui Costa, Daniel Martin e Darwin Atapuma come pedine importanti nei grandi giri. Prima del via, il solo problemino da risolvere è allargare la (per ora) minuscola fascia tricolore sulla maglia di campione italiano.

Nuova squadra Fabio ha tagliato i ponti con il passato: nuovi stimoli per spazzare i dubbi sulla sua statura

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