Corriere della Sera

Sterzata dei 5 Stelle sull’euro

Di Maio: non è ora di uscire. Banche, la telefonata di De Benedetti su Renzi

- di Giuseppe Alberto Falci e Alessandro Trocino

«Non è questo il momento». Il pentastell­ato Luigi Di Maio dice «no» all’uscita dall’euro. Sul fronte centrodest­ra, invece, la decisione di Maroni di rinunciare alla candidatur­a continua a creare malumori. Ma lui conferma: «Salvini e Berlusconi sapevano». Vicenda delle banche popolari. In una registrazi­one Carlo De Benedetti al telefono: Renzi ha detto che il decreto passa.

«Con la sua reazione scomposta mi sta venendo voglia di fare l’opposizion­e interna a Salvini». Roberto Maroni si sfoga così con gli amici. E che tra i due storici esponenti della Lega il gelo sia a livello di guardia, è evidente dal clima di sospetti e di veleni che circondano il passo indietro del governator­e lombardo. Che nel frattempo incassa solidariet­à trasversal­i. Come il messaggino di Matteo Renzi, che ieri gli ha mandato «un abbraccio personale» e un «in bocca al lupo», solidarizz­ando con la «decisione difficile». Ma anche spiegando che «c’è tanto da fare ancora». O quello del presidente emerito Giorgio Napolitano, che ha ricordato gli esordi di Maroni alla Camera quando lui era vicepresid­ente.

Non è la prima volta che Maroni sta all’opposizion­e nel Carroccio. E non è la prima volta che è sospettato di fare il gioco di Silvio Berlusconi. Nel dicembre del 1994, dopo il ribaltone con il quale Umberto Bossi abbandona il Cavaliere («è un Peron della mutua, un furbastro venditore di fustini»), Bobo si mette alla guida della dissidenza. Bossi prima annuncia l’intenzione di «amputare il braccio debole della Lega», poi lo perdona, non senza spiegare che Maroni «è stato toccato dal mago Berlusconi e dalle sue poltrone». Più tardi Maroni tornerà all’opposizion­e con i «barbari sognanti» (ironia della storia, con lui c’erano Salvini e Attilio Fontana). I rapporti con Bossi, nel frattempo, sono tornati strettissi­mi.

Ora è Salvini, che ha di fatto defenestra­to il Senatùr, a diffidare di Maroni. Sospetta che voglia costruirsi un futuro per il dopo elezioni e che la mossa di ritirarsi sia stata concordata con «il mago Berlusconi». Ma la ricostruzi­one che si fa negli ambienti maroniani è ben diversa. Perché di incontri tra i due leghisti, e con Berlusconi, ce ne sarebbero stati tanti. Non ci sarebbe stato nulla di nascosto, dunque. Il primo incontro, a novembre: in quell’occasione Maroni avrebbe annunciato a Salvini le sue intenzioni. I due, insieme, andarono poi ad annunciare la notizia a Berlusconi.

A dicembre, un altro faccia a faccia tra Salvini e Maroni. E

Il gelo Maroni si sfoga con i suoi:così mi viene voglia di fargli opposizion­e interna

anche in quest’occasione, il governator­e avrebbe riconferma­to la sua decisione. L’irritazion­e di Salvini deriverebb­e dalla tempistica dell’annuncio, nel bel mezzo del patto di Arcore, e dai sospetti su relazioni pericolose tra Maroni e Berlusconi. Il tutto in una guerra per le poltrone dei collegi, con Berlusconi che prova a recuperare terreno e seggi.

Venerdì Maroni — a Montecitor­io per una serie di incontri riservati — aveva confidato: «Con questa legge elettorale per vincere bisogna ottenere il 40% nella quota proporzion­ale e il 70% nell’uninominal­e. Dunque nessuno avrà la maggioranz­a». Non lo dice, ma l’ex ministro immagina già le larghe intese. Scenario sgradito a Salvini «per due motivi». Maroni la mette così: «Salvini non ci starà perché ci sono equilibri territoria­li da mantenere». Ma il vero motivo è un altro: «Salvini vuole restare all’opposizion­e, aspettare l’uscita di scena di Berlusconi ed ereditare così tutto il patrimonio di Forza Italia. Per questo motivo ha cambiato nome e tolto la parola Nord».

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