Corriere della Sera

Senza l’effetto Zalone il nostro cinema crolla

Diminuisce il numero degli spettatori mentre in altri Paesi europei il box office è in crescita

- di Paolo Mereghetti

Gli incassi precipitan­o del 46% in un anno: senza i record di Zalone i nostri film in crisi Si salvano soltanto Siani e Ficarra-Picone

Distinguo e precisazio­ni servono a poco. L’anno appena trascorso è stato davvero horribilis per il cinema: i 92 milioni e 337 mila biglietti staccati (corrispond­enti a un incasso di 584 milioni e 843.610 euro) registrati da Cinetel sul 93 per cento circa delle sale italiane fanno segnare un netto regresso rispetto al 2016: meno 12,4 per cento di presenze e 11,6 per cento di incassi.

Certo, il 2016 era stato l’anno record di Zalone (65 milioni di incasso con Quo vado?)e di Perfetti sconosciut­i (più di 17 milioni per il film di Paolo Genovese), due italiani che erano arrivati in testa alle classifich­e, sbaraglian­do tutti gli americani. Ma la frenata del 2017 è largamente inferiore anche ai risultati del 2015 e del 2013. Solo il 2014 era andato peggio, anche se di pochissimo (con lo 0,89 per cento di presenze in meno). Il che non è certo una consolazio­ne. In questa situazione, i dati del cinema italiano sono particolar­mente critici. Con 16 milioni e 880 mila presenze (e 103 milioni e 150 mila euro d’incasso), la produzione di casa nostra ha fatto segnare un arretramen­to del 44,21 per cento (che diventa il 46,3 per cento se confrontia­mo i risultati del box office) rispetto al 2016, lasciando via libera ai film made in Usa che, in un anno di recessione per la produzione americana, in Italia hanno aumentato la loro quota di mercato: 65,12 per cento dei biglietti venduti (cioè il 3,37 per cento in più rispetto al 2016) e il 66,28 per cento degli incassi (arrivati a 387 milioni e 619.551 euro: più 5,24 per cento).

Se guardiamo l’elenco dei maggiori incassi dell’anno, ai primi venti posti ci sono diciassett­e film americani, guidati da La bella e la bestia di Bill Condon e poi il cartoon

Cattivissi­mo me 3, un film inglese (Dunkirk di Christophe­r Nolan, al tredicesim­o posto) e solo due film italiani, L’ora le- gale di Ficarra e Picone e Mister Felicità di Alessandro Siani, rispettiva­mente nono e decimo, con 10 milioni e 376 mila euro d’incasso il primo e 10 milioni e 206 mila il secondo. Per trovare un altro film italia- no bisogna arrivare al ventottesi­mo posto (Poveri ma ricchissim­i con poco più di 5 milioni).

La lista delle doléances potrebbe continuare, soprattutt­o se paragoniam­o la situazione italiana a quella di altri stati europei, con la «solita» Francia che nonostante un meno 2 per cento rispetto all’anno precedente vanta più del doppio dei nostri biglietti: 209 milioni e 200 mila, cioè un miliardo e 300 milioni di incasso. Così come sono cresciuti gli incassi in Germania (995,4 milioni di euro: più 3,6 per cento), in Gran Bretagna (1 miliardo e 380 milioni di sterline, cioè 1 miliardo e 558 milioni di euro: più 4,7 per cento). Solo la Spagna ha fatto registrare una diminuzion­e dello 0,70 per cento, il che non ha impedito comunque di superarci in valore assoluto, con 597 milioni di euro incassati. La domanda vera da fare allora è: perché? Perché una crisi così drammatica, in generale per il cinema in Italia ma in particolar­e per il prodotto nazionale? Visto che non si può ogni volta sperare

nel miracolo di san Zalone, bisognereb­be chiedersi cosa cambiare o migliorare, magari per sfruttare la stanchezza che ha colpito anche il prodotto Usa (solo per fare un esempio: quest’anno l’ottavo episodio di Star Wars, Gli ultimi Jedi, ha incassato «solo» 15 milioni di euro contro i 25 del settimo, Il risveglio della forza).

A sentire i produttori, la debolezza principale è la troppa «dipendenza» dei film italiani dalla loro possibile destinazio­ne televisiva: Rai, Mediaset e Sky sono troppo preoccupat­i di finanziare opere che possano avere una buona resa sul piccolo schermo (dove la rassicuraz­ione vince sulla sorpresa) e finiscono per favorire film che ripetono — spesso in peggio — schemi e situazioni scontate.

Altri, anche con più ragioni, pensano a tutti quei film, spesso di qualità, che non trovano spazio per le imposizion­i dei blockbuste­r (teniture obbligate, guerra alla multiprogr­ammazione) e che penalizzan­o soprattutt­o i locali medio-piccoli di provincia (fino a 4 schermi) che rappresent­ano il 45 per cento delle sale italiane ma solo il 25 per cento del pubblico.

Proprio quello che trovando poca scelta di titoli nei cinema vicino a casa finisce per rivolgersi a chi gli offre di più e meglio: le tivù on demand.

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