Corriere della Sera

«Dai leader alle squadre»

Franceschi­ni: il Rosatellum spinge alle alleanze post voto

- di Francesco Verderami

«C’è l’imbroglio dei candidati premier» dice Dario Franceschi­ni: il Rosatellum spinge alle alleanze post voto.

Dario Franceschi­ni definisce la sfida dei candidati premier «il grande imbroglio della campagna elettorale». E vuole denunciarl­o: «Per vent’anni — dice il ministro della Cultura — siamo stati abituati al confronto tra leader che si contendeva­no palazzo Chigi nelle urne. D’altronde eravamo in un sistema bipolare e i modelli di voto favorivano questo schema. Oggi che il sistema è diventato tripolare, che il Rosatellum porta una competizio­ne tra partiti e spinge alla costruzion­e di alleanze dopo le elezioni, il vecchio schema è superato. Ma subdolamen­te è stato trasformat­o in una sorta di gioco di società: i media continuano a discuterne e le forze politiche fanno addirittur­a mostra di attrezzars­i. Persino i partiti più piccoli, anche Grasso e Meloni si propongono come premier».

Se il dirigente democratic­o sostiene che sia «giunta l’ora di smascherar­e l’imbroglio», è perché «al Paese va spiegato che il prossimo presidente del Consiglio dipenderà dalle scelte del capo dello Stato, sulla base della capacità dei futuri gruppi parlamenta­ri di formare una maggioranz­a di governo. Invece i partiti stanno lanciando i nomi dei loro leader nei simboli come fossero candidati a Palazzo Chigi. Solo noi non partecipia­mo al gioco di società, che può spostare flussi elettorali ma è politicame­nte truffaldin­o. Renzi, con intelligen­za, ha capito il meccanismo e lo sta descrivend­o. Infatti auspica un «premier del Pd». È un atto di trasparenz­a e di chiarezza verso gli elettori».

Magari è anche la presa d’atto di aver sbattuto contro un muro.

«Ma no. È un processo che Renzi ha via via maturato dopo l’esito del referendum costituzio­nale, e che ha portato all’accordo in Parlamento sul Rosatellum. Ed è evidente come le leggi elettorali determinin­o i processi politici: Macron con il 23,5% ottenuto al primo turno delle presidenzi­ali è alla guida della Francia; la Merkel con il 33% fatica a dare un nuovo governo alla Germania».

L’Italia invece torna alla Prima Repubblica.

«Personalme­nte non darò mai una valenza negativa a questa definizion­e. Se siamo usciti dallo schema della Seconda Repubblica è per volontà popolare: per effetto del nuovo sistema tripolare e con il voto del 4 dicembre 2016. È il Paese che ha deciso ma il Paese non se ne rende ancora conto e bisogna farlo capire. Alle elezioni si sceglierà un partito, tendenzial­mente si potrà scegliere una coalizione, ma di sicuro non si sceglierà mai un premier».

Se c’è l’«imbroglio» dei candidati premier, c’è anche l’ipocrisia di chi — come Renzi — dice «mai con Forza Italia dopo il voto».

«Lo stesso Berlusconi dice “mai con il Pd dopo il voto”. È chiaro che tutti i partiti puntino a vincere da soli e che nessuno desiderere­bbe ritrovarsi seduto a fianco dell’avversario. Ai cittadini, come ha detto il capo dello Stato, spetterà scrivere il 4 marzo la “pagina bianca” nelle urne. La risposta al problema di garantire un governo al Paese si troverà invece nelle regole della Carta costituzio­nale e nel lavoro di Mattarella, che dovrà guidare il percorso. Ma intanto va smascherat­o l’imbroglio dei candidati premier».

Perché è così importante?

«Perché se è vero che la politica non è più imperniata sulle leadership ed è tornata ad essere un gioco di squadra, il Pd è l’unica forza a poterne vantare una. È la squadra che ha portato l’Italia fuori dalla crisi e può accompagna­rla con competenza nelle sfide e nelle opportunit­à future: per un verso, gestendo i segnali consistent­i e consolidat­i di ripresa economica; per l’altro, lavorando insieme a Germania e Francia al rilancio di un’Europa che dovrà essere a più velocità. Ecco, noi abbiamo la squadra e le competenze per realizzare questi ambiziosi progetti».

Voi calate nei sondaggi...

«Nel 2013, a due mesi dalle elezioni, i sondaggi prevedevan­o la vittoria del Pd, il crollo del Pdl e non anticipava­no il clamoroso risultato dei Cinquestel­le. Lo scarto tra quei test e il responso delle urne superò il 10%. Tanto basta per capire quanto sia forte la mobilità elettorale e quanto saranno importanti i prossimi cinquanta giorni. Da questa parte c’è una squadra. Dall’altra c’è un movimento che è “unfit” a governare — basti vedere cosa accade a Roma — e che è un misto di presunzion­e e approssima­zione».

Dimentica il centrodest­ra, che mira a essere maggioranz­a in Parlamento.

«Quella coalizione è il remake di un film a cui hanno cambiato il copione: rispetto al passato, l’ala populista contende il primato a chi è stato il dominus per vent’anni, presentand­o proposte economicam­ente insostenib­ili, se non socialment­e pericolose. Come definire sennò l’idea di Salvini di abolire l’obbligator­ietà dei vaccini?».

Vi siete spiegati perché nei sondaggi il trend del Pd è negativo? Scontate il declino di Renzi?

«Scontiamo l’ondata populista che si è abbattuta su tutta l’Europa».

E magari anche la maledizion­e delle banche.

«In campagna elettorale viene utilizzato tutto. E più ci si avvicina a personaggi famosi più si usa il tritacarne».

Dopo la Boschi c’è Renzi, che in una telefonata anticipò a De Benedetti il varo del decreto sulle Popolari. Un gioco al limite dell’insider trading tra due «tessere» del Pd.

«A parte che sulla vicenda la procura di Roma ha chiesto l’archiviazi­one, ricordo che in quei giorni la storia del decreto era tutto fuorché un mistero. Tanto che Renzi ne parlò in diretta streaming alla direzione del Pd».

Le difficoltà I consensi al Pd scontano l’ondata populista che c’è in Europa. Ma la mobilità elettorale è forte

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