Colline dalmate e orrore a Dachau Le tante vite di Zoran Music
A Bologna, Trieste e nel Canton Ticino tre mostre raccontano il pittore goriziano scomparso nel 2005
Autoritratti, motivi dalmati, paesaggi senesi, ombre sul Carso, vedute veneziane e parigine, ritratti della moglie Ida, interni di cattedrali, nature morte con frutti di mare. E disegni inediti della prigionia nel campo di concentramento bavarese di Dachau. Tre mostre ricordano Zoran Music (1909-2005) a Tenero (Canton Ticino), Bologna e Trieste.
In Svizzera, Matasci presenta (sino al 24 marzo) una piccola antologica di 45 dipinti e una decina tra acqueforti e puntesecche (catalogo della Galleria). Piuttosto curiosa la rassegna alla Galleria Maggiore del capoluogo emiliano (sino al 22 gennaio): la «collezione amicale» del sarto Guido Bosi (con atelier a Bologna e a Parigi), curata da Flaminio Gualdoni (catalogo Silvana). Capita che sarti o ristoratori che hanno a che fare con artisti, spesso diventino collezionisti dei loro clienti. Le opere di Boni testimoniano non solo la frequentazione, ma anche l’amicizia con Music nel corso di mezzo secolo, sia quando il pittore ha lo studio in rue des Vignes (ereditato dal pittore Léon Gischia), che in rue Saint-Gothard (una volta del fotografo Brassaï). Il
couturier «prende le misure» di Music, ma anche quelle di Chagall, Man Ray, Fontana, Miró e Tápies.
La terza rassegna, al Museo Revoltella di Trieste (26 gennaio-2 aprile) propone 24 disegni, appena scoperti negli archivi dell’Anpi, l’Associazione nazionale dei partigiani, datati «Dachau 1945». Fanno parte dei 200 di Music, di cui si pensava se ne fossero salvati solo 35. Nel 1944 la Gestapo arresta a Venezia l’artista trentacinquenne e lo deporta in Germania. Lavori forzati. Music resta nel campo di concentramento bavarese («dove impara a sentire crescere l’erba») circa due anni. Ma negli occhi gli rimangono sempre le terribili scene di morti e moribondi che, nonostante il trascorrere del tempo, continueranno a ossessionarlo per sempre e che paiono collocarsi a metà strada fra Giacometti e Bacon. «Zoran diceva che i disegni di Dachau erano soltanto dei documenti e sbagliava — ricorderà lo scrittore sloveno, naturalizzato italiano, Boris Pahor —, perché erano sì documenti, ma di un Goya del Ventesimo secolo».
Tenero, Bologna e Trieste sintetizzano, cronologicamente, la lunga esistenza dell’artista (morto a 96 anni), scandita in vari cicli. Ecco le foreste della Carinzia e della Stiria slovena dove la famiglia del pittore si trasferisce durante la Prima guerra mondiale; ecco, ancora, i traghetti veneziani e le chiese con gli echi bizantineggianti dei mosaici, dove le pietre di Ruskin diventano impronte d’un canto lontano e la città, con le sue ascendenze orientali e occidentali, si coglie appena; si capta, quasi. Ed ecco la magia di Parigi, dove Music vive circa sei mesi all’anno.
Nei primi anni Sessanta incontra Giacometti. «Lo vedevo quasi sempre di sera, qualche volta e per caso — mi aveva raccontato —. Facevamo un centinaio di metri insieme. Poi lui prendeva il viottolo che attraversava il cimitero di Montparnasse».
L’altra metà dell’anno, Music la trascorre a Venezia (il primo studio glielo cede il musicista Francesco Malipiero). In estate viene raggiunto dagli amici: François Mitterrand, ospitato nella casa-studio di Zoran, sul Canal Grande; così come la figlia segreta, la dolce e timida Mazarine, prima ancora che i giornali francesi ne svelino l’identità. Ed ancora: Jan e Marianne Kruger, Laura e Gérard Régnier (Jean Clair), Guia e Carlo Guarienti che hanno già casa in Laguna.
Qualche volta capita anche James Lord, autore fra l’altro di una straordinaria biografia su Giacometti. Una sera, a cena, Lord ne ricorda la genesi. Amicissimo dell’artista svizzero, negli anni Sessanta, a Parigi lo scrittore americano posa per un ritratto. Invece di qualche pomeriggio, le sedute si protraggono per circa due settimane e mezzo. Quando James rientra a New York ha con sé tanti appunti e foto da fare un libro.
Figlio di due insegnanti, Music vede la luce a Gorizia («Gorizia significa piccola collina e io sono nato in una piccola collina»), città di frontiera sotto la dominazione austro-ungarica e punto d’incontro di tre culture: italiana, slava e tedesca. Dopo l’Accademia a Zagabria, passa a Vienna e Praga. Nel ’35 si trasferisce in Spagna. A Castiglia «la Vieja» ritrova una certa aria di casa: gli altopiani battuti dal vento.
Agli inizi della guerra civile rientra in Dalmazia e da qui va a Gorizia e Venezia (dove, nel ’43, espone presentato da Filippo de Pisis). Assieme a Parigi, Venezia diventerà il luogo eletto, sempre cercato. Canali, bacini, chiese, barche, bragozzi, bettoline, pontili, rimorchiatori e le lontane Prealpi quando il cielo è terso, diventano note di un concerto sotteso.
Queste tre mostre ne sono la dimostrazione.