Incubo argentino con spiriti e magia L’
autrice di quest’opera narrativa, che non può definirsi propriamente un romanzo bensì un incubo sceneggiato, paga il prezzo di un’ardita originalità. Non è un antiromanzo, l’autrice non torna a battere le strade d’un già collaudato sperimentalismo. Siamo in un borgo sperduto dell’entroterra argentino. L’incipit è inquietante. Una malata, dal fondo d’un letto, dice a una sua visitatrice: «Sembrano vermi». L’interlocutrice domanda: «Che tipo di vermi?». Dopodiché ci si può aspettare di tutto. Samanta Schweblin, quarantenne scrittrice sudamericana dal bel volto ombroso, mette in scena un intreccio che si direbbe costruito in moviola. Così Samanta, che il premio Nobel Vargas Llosa vede candidata «a una brillante carriera» letteraria, azzarda. La narrazione ci condurrà nella «casa verde» dove una guaritrice, che ha rapporti lasciati all’immaginazione del lettore con l’aldilà, fa trasmigrare lo spirito d’un bellissimo bambino morente nel corpo d’un suo coetaneo condannato da non si sa quale morbo. Il resto è la conseguenza di questa «magia» ma la parafrasi penalizzerebbe una trama immersa nel sovrannaturale. Senso e non senso si integrano come in un gioco di specchi, i dialoghi prevalgono sui raccordi narrativi e i lettori forti avranno di che banchettare.