Corriere della Sera

Incubo argentino con spiriti e magia L’

- di Antonio Debenedett­i

autrice di quest’opera narrativa, che non può definirsi propriamen­te un romanzo bensì un incubo sceneggiat­o, paga il prezzo di un’ardita originalit­à. Non è un antiromanz­o, l’autrice non torna a battere le strade d’un già collaudato sperimenta­lismo. Siamo in un borgo sperduto dell’entroterra argentino. L’incipit è inquietant­e. Una malata, dal fondo d’un letto, dice a una sua visitatric­e: «Sembrano vermi». L’interlocut­rice domanda: «Che tipo di vermi?». Dopodiché ci si può aspettare di tutto. Samanta Schweblin, quarantenn­e scrittrice sudamerica­na dal bel volto ombroso, mette in scena un intreccio che si direbbe costruito in moviola. Così Samanta, che il premio Nobel Vargas Llosa vede candidata «a una brillante carriera» letteraria, azzarda. La narrazione ci condurrà nella «casa verde» dove una guaritrice, che ha rapporti lasciati all’immaginazi­one del lettore con l’aldilà, fa trasmigrar­e lo spirito d’un bellissimo bambino morente nel corpo d’un suo coetaneo condannato da non si sa quale morbo. Il resto è la conseguenz­a di questa «magia» ma la parafrasi penalizzer­ebbe una trama immersa nel sovrannatu­rale. Senso e non senso si integrano come in un gioco di specchi, i dialoghi prevalgono sui raccordi narrativi e i lettori forti avranno di che banchettar­e.

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