Carmen sfocata per un finale alla rovescia
AVenezia la Contessa delle Nozze di Figaro di Michieletto si suicidava. La Konstanze del Ratto dal serraglio di Bieito a Berlino veniva uccisa. E la Carmen di Tcherniakov ad Aix si guardava bene dal farsi ammazzare. Non parliamo poi dei Don Giovanni che non si sa mai come vanno a finire. Eppure nessuno di questi allestimenti ha scatenato discussioni come quello in scena a Firenze: una
Carmen che finisce appunto alla rovescia con lei che uccide lui. La causa del clamore non è la cosa in sé, perché interpretare un’opera è un diritto/dovere di ogni regista, come di ogni direttore d’orchestra. Ma è la dichiarazione che tale finale (malriuscito: la pistola si è inceppata), si debba alla volontà di contrastare il femminicidio: affermazione ridicola in sé, certo, ma cinica in bocca al sovrintendente (il suo teatro ha bisogno di platee esaurite) e improvvida in bocca al sindaco della città, Nardella, contro il quale si è scatenato il popolo del web.
Questo finale è però plausibile nella messinscena di Leo Muscato, che cancella la Siviglia della tradizione per andare al sodo di un dramma aspro come pochi. Lo spettacolo, ambientato in un campo nomadi anni 70, non è solo ruvido ma anche coerente, ben condotto e recitato. Il direttore Ryan McAdams fa bene
Preludio e Interludi ma il rapporto tra buca e palcoscenico non è mai a fuoco. Ha buone qualità ma gli manca esperienza di teatro. E il coro, che tende a calare e a rallentare, non lo aiuta. Il cast (Veronica Simeoni, Roberto Aronica, Laura Giordano e Simone Alberghini) svolge discretamente il compito.