Le alleanze virtuose
Èun paradosso contemporaneo che siano dei tweet a racchiudere il senso dell’avvicinamento tra due palazzi storici, uno a Roma e l’altro a Parigi. Paolo Gentiloni scrive che il Trattato del Quirinale renderà ancora più forti le relazioni italo-francesi «al servizio dell’intera Unione». Emmanuel Macron, rientrando all’Eliseo, riproduce il messaggio e indica l’obiettivo di «nuove ambizioni da disegnare insieme». Se si crede nelle parole, si tratta di parole significative.
Attenzione, però. Il presidente francese ricorda, nello stesso tweet, che «siamo in un’Europa che talvolta dubita dei suoi valori». È da qui che bisogna partire per valutare la portata dell’iniziativa lanciata ieri con l’intenzione di «dare una struttura ancora più sistematica e più favorevole alla cooperazione dei due Paesi» sul modello di quel Trattato firmato il 22 gennaio 1963 da Charles de Gaulle e da Konrad Adenauer, che parlamentari dell’Assemblea Nazionale e del Bundestag stanno in questi giorni lavorando per modernizzare. Aggiornare il rapporto franco-tedesco e far compiere un salto di qualità all’intesa tra i Paesi di Robert Schuman e di Alcide De Gasperi sono due facce di una stessa medaglia. Fare la seconda cosa è «complementare» alla prima. Anche se la Germania uscita dalle ultime elezioni non è più quel gigante di stabilità senza sorprese su cui è stato sempre ovvio contare, nel bene e nel meno bene, non è il momento di approfittarne. E’ normale prendere il comando quando chi fa l’andatura sembra appannato. Relazioni più sistematiche tra Italia e Francia, puntualizza Gentiloni, rappresentano «un contributo per il futuro dell’Ue». L’Europa che «talvolta dubita dei suoi valori», per ritornare alle parole di Macron, può voler dire che perfino i suoi fondatori rischiano a volte di dimenticare la forza di attrazione del progetto realizzato in questi coraggiosi decenni (obbligatorio comunque tenerlo al passo con i problemi di oggi) e può naturalmente indicare che molti membri del club agiscono ormai lasciandosi contagiare dalla malattia dell’egoismo. In entrambi i casi le riposte da dare ai propri dubbi, alle insoddisfazioni delle opinioni pubbliche e alle differenze degli altri vengono proprio da legami virtuosi tra i protagonisti principali di quel progetto. Un’Europa che dovrà marciare anche (ma non solo) con velocità diverse ha bisogno che i guidatori siano capaci di darsi il cambio al volante manovrando gli strumenti con la stessa determinazione. E non basta, per una indubitabile responsabilità della Storia, affrontare e risolvere le emergenze del nuovo millennio proteggendo le frontiere, regolando l’accoglienza, migliorando la sicurezza, coniugando crescita e disciplina, promuovendo l’occupazione. È l’ora appunto di «nuove ambizioni» : costruire un Europa «più sovrana e più unita», rendendola «una potenza energetica, ambientale e digitale».
Una positiva dialettica italo-francese è un carburante potente nel motore dell’Unione, ben al di là delle clausole di un Trattato che speriamo veda la luce come promesso entro la fine di quest’anno. È possibile dare esempio — in una fase storica nella quale vacilla il rapporto con l’America e la politica estera comune dei Ventotto è un impegno non sempre facile da realizzare interamente — sul versante della difesa (come sta già accadendo per quanto riguarda la missione in Niger) e della difesa dei diritti umani (coniugando il «dialogo esigente» di Macron alla tradizione di un’Italia che non ama l’indifferenza). In tutto ciò aiutano le affinità politiche tra Parigi e Roma che si sono create nell’ultima fase del dialogo tra le due capitali. Un patrimonio, anche questo, che resta valido nel nostro incerto domani.
Velocità diverse Le risposte ai dubbi dell’Unione vengono proprio da legami efficaci e virtuosi tra i protagonisti principali del progetto europeo