Corriere della Sera

Se i «furbetti del congedo» ora rischiano anche il posto

- di Virginia Piccolillo

Ci voleva la Cassazione per difendere i bambini dai papà «furbetti». E un occhiuto datore di lavoro che per stanarne uno è arrivato ad ingaggiare un detective. La sezione lavoro della Corte di Cassazione ha infatti confermato la decisione della Corte d’Appello dell’Aquila che ha ritenuto legittimo il licenziame­nto disciplina­re nei confronti di un dipendente di una ditta di trasporti che aveva abusato di un congedo parentale. Giacché, come aveva appurato un investigat­ore assoldato dall’azienda, «per oltre la metà del tempo concesso a titolo di permesso parentale» non aveva «svolto alcuna attività a favore del figlio». La legge prevede l’astensione dal lavoro fino agli 8 anni del bambino, percependo per i primi tre un’indennità pari a un terzo dello stipendio. Ma il permesso, ricordano i giudici, vale solo se è legato «all’interesse del tutelato». Quanti invece ne hanno abusato? C’è chi usa quel tempo per un altro lavoro, magari sostenendo che coadiuva le finanze familiari. E chi bluffa. «Mica si può equiparare il congedo ai permessi per assistere i disabili» aveva obiettato la difesa. E invece sì. La Cassazione (sentenza n. 509) ha stabilito che il principio vale sia per chi usa il congedo per lavorare sia per chi «trascura la cura del figlio per dedicarsi a qualunque altra attività». Il motivo? «Conta non tanto quel che il genitore fa nel tempo da dedicare al figlio, ma quello che non fa nel tempo che avrebbe dovuto dedicargli». Il congedo «non attiene a esigenze puramente fisiologic­he del minore ma intende appagare i suoi bisogni affettivi e relazional­i». Insomma chi fa il furbo rischia, anche, di essere licenziato.

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