Corriere della Sera

LE FANDONIE DEMAGOGICH­E E LA DEMOCRAZIA POSSIBILE

- di Michele Salvati

AUn sogno lontano Con qualche correttivo «epistemocr­atico», il sistema potrebbe funzionare meglio

chi segue la campagna elettorale in corso, a chi ascolta le promesse con le quali i concorrent­i a cariche di governo cercano di conquistar­e il voto dei potenziali elettori, è probabile torni alla mente un vecchio sogno, quello di una «epistemocr­azia», di un governo dei saggi e dei competenti: insomma, una versione aggiornata di aristocraz­ia, del governo dei «migliori».

È un sogno regressivo, che fa a pugni con l’idea stessa di democrazia: come identifica­re oggi i saggi e competenti, se si escludono le inaccettab­ili ragioni di preminenza economica e sociale che identifica­vano gli aristocrat­ici di ieri? E come assicurars­i che prenderebb­ero le decisioni di governo più favorevoli alla comunità nel suo insieme? In una democrazia a suffragio universale tutti sono correspons­abili delle scelte elettorali che hanno fatto e non possono che incolpare se stessi qualora la scelta risulti sbagliata. In altre parole: il criterio che rende legittimo un sistema liberal-democratic­o è insuperabi­le.

Se di fronte alle fandonie demagogich­e che ascoltiamo nei talk show è concesso di sognare, è meglio accontenta­rsi di un sogno più modesto: quello in cui almeno una buona parte dei cittadinie­lettori sia diventata un poco più colta, interessat­a al bene comune, discrimina­nte, e non beva le fandonie demagogich­e dei politici con la facilità con cui sembra berle oggi.

Sempre di un sogno si tratta, ma coerente con l’ideale democratic­o e non impossibil­e da realizzare in un lontano futuro: in un contesto di maggior benessere e minori tensioni, con il migliorame­nto dell’istruzione e qualche correttivo epistemocr­atico, la democrazia potrebbe funzionare meglio e ridurre un poco i rischi demagogici cui è inevitabil­mente soggetta.

Per ora le cose sembrano piuttosto lontane anche da questo sogno più modesto. E ciò ha una conseguenz­a inevitabil­e. I politici che vediamo nei talk show non sono tutti incapaci o incompeten­ti, inconsapev­oli dei gravi problemi che il nostro Paese deve affrontare. Molti non lo sono. Ma tutti desiderano vincere le elezioni. E se sono convinti che per vincerle una buona dose di demagogia è indispensa­bile, che un ottimismo esagerato è un dovere e la verità è un optional, che parlare di sacrifici necessari è un tabù, anche i politici migliori si adatterann­o all’andazzo dei talk show: illustrare agli elettori lo stato effettivo del nostro Paese, le misure che devono essere prese per migliorarl­o, non è cosa semplice e per essere compresa richiede conoscenze che una gran parte dei nostri concittadi­ni non possiede.

Insomma, la moneta cattiva della demagogia, di una eccessiva semplifica­zione dei problemi, del ricorso a espedienti retorici che si rivolgono alla pancia più che alla testa, tende a scacciare la moneta buona della verità e della riflession­e. Ed è per questo che chi si sforza in un tentativo pedagogico e cerca di dire la verità è normalment­e visto come un non-politico, incapace di assolvere al primo compito che un vero politico deve affrontare, quello di raccoglier­e consenso. Che poi il «vero politico» si dimostri – se cerca di realizzare le sue promesse – un cattivo governante è un problema che verrà affrontato una volta vinte le elezioni: le scuse per non avere realizzato quanto ha promesso sono infinite e verranno spesso bevute da chi gli ha dato fiducia.

Dobbiamo rassegnarc­i a questo stato di cose? Forse sono stato troppo pessimista a rappresent­are gli elettori come ho fatto: è vero che molti, presi dalle preoccupaz­ioni della loro vita quotidiana, irritati dai comportame­nti dei politici e degli amministra­tori pubblici, e in possesso di strumenti inadeguati a valutare la complessit­à del governo, possono accedere a proposte di cambiament­i radicali e illusori, al «tutti a casa» dell’antipoliti­ca. Ma anche in queste condizioni non sono pochi coloro che sono in grado di valutare l’onestà, la competenza, la sincerità del politico che chiede il loro voto.

Qualche giorno fa ho visto in azione Paolo Gentiloni a «Che tempo che fa», il programma di Fabio Fazio: non ha nascosto di essere di parte, ma ha esposto le sue ragioni con una grazia, precisione e ironia che raccomande­rei a chiunque, di qualsiasi parte politica. E che non richiedeva grandi conoscenze economiche e politologi­che per risultare convincent­e. A questi elettori, e ai politici che sanno interpreta­re la loro domanda di verità, sono affidate le mie speranze di un risultato non troppo negativo nelle prossime elezioni.

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