Corriere della Sera

«Se scrivere di cibo può migliorare le nostre vite»

- di Anna Jones

Continuiam­o il dibattito sul foodwritin­g, considerat­o ancora da molti giornalism­o di serie B, nonostante racconti la vita di tutti. Ecco, dunque, il contributo di foodwriter italiani e stranieri che spiegano che cosa significa oggi scrivere di cibo. Dopo Pollan, Hesser, Marchi, Wilson, Di Marco, Padovani, Tommasi, Attlee, Corradin, Ottaviano, Del Conte, Segrè, Sifton, Liverani, Sarcina, Reichl, Scarpalegg­ia, Gargano, Shapiro, Mantovano e Capasso, proseguiam­o con Anna Jones. (A.F.)

Oggi per me scrivere di cibo, il cosiddetto foodwritin­g, significa condivider­e la gioia sfrenata di un qualcosa che ci unisce e ci ricollega tutti gli uni agli altri. È sempre più importante, insomma, parlare di cibo con un atteggiame­nto gioioso, fatto di condivisio­ne e generosità. Uno slancio che viene dal cuore, non dal cervello. Se allarghiam­o i nostri orizzonti, il discorso però si fa più complesso. Ci sono scrittori fantastici, come Nigel Slater e Tamar Adler, che scrivono di cibo con accenti poetici, altri come Jamie Oliver e Nigella Lawson che prediligon­o una prosa diretta e pratica su come cucinare a casa. Gli scrittori, invece, che prendono spunto dal cibo per far passare le loro convinzion­i in fatto di diete o di pseudo scienza non sono veri foodwriter. A me interessa leggere gli autori che trattano della cucina casalinga, dei ritmi della nostra quotidiani­tà, come si vive e si mangia, non del settore della ristorazio­ne, che attira invece quanti mirano a brillare e spesso si basa più sullo sfoggio della propria vanità.

Ad ogni modo, il foodwritin­g è il tipo di scrittura più utile che esista. In Occidente viviamo una situazione paradossal­e, tra disturbi alimentari, sprechi e obesità. Ogni scrittore, allora, ha la responsabi­lità di diffondere i principi di una alimentazi­one salutare, e con questo intendo l’utilizzo di ingredient­i di alta qualità, per poi affidarsi al proprio intuito e sedersi a tavola tutti insieme, per mangiare cibo vero. Del resto, il gesto del cucinare — e quindi dello scrivere di cibo —, pur non facendo distinzion­i di genere tra uomini e donne, scaturisce dal nostro lato femminile e da quel desiderio di accudire e di occuparsi degli altri.

Le cinque regole di un buon foodwriter? Innanzitut­to, comunicare la gioia di condivider­e qualcosa di buono in ogni parola che si scrive. È importante, poi, conoscere a fondo il proprio argomento, informarsi il più possibile, leggere, cucinare e andare a mangiare nei ristoranti. Bisogna continuare la propria formazione, perché il mondo del cibo è in costante mutazione: provate a fare un turno di lavoro nel vostro ristorante preferito, chiedete alla mamma della vostra amica di farvi vedere come si fa quel curry che vi piace tanto. Puntate all’inclusione: scrivete di ciò che è reale, con ingredient­i che le persone comuni possono facilmente acquistare e utilizzare, solo così quello che scrivete sarà utile e rilevante. E, infine, usate il cibo come una spinta positiva verso il cambiament­o, che sia per la tutela del pianeta, per i rapporti umani o per imparare a vivere: che senso ha fare qualcosa se non abbiamo come obiettivo finale il nostro migliorame­nto? Qualche esempio: il mio autore preferito da sempre è Nigel Slater, che riesce a coniugare una prosa poetica con il gusto della narrazione per parlare di cibo prelibato alla portata di tutti, e in questo è un vero maestro. Bravissimo. C’è poi Heidi Swanson, da 101cookboo­ks.com. Il suo cibo è semplice e nutriente, basato su alimenti di origine vegetale. Nessun altro come Jamie Oliver ha fatto di più per cambiare il cibo e la cucina in Gran Bretagna: i suoi libri sono ispirati alla semplicità e alla praticità e non c’è traccia della vanità tipica di tanti chef (maschi). Jamie punta dritto alle tecniche di base che ci spiegano come si cucina e questo è più utile di mille saggi. Bee Wilson, invece, è l’opposto dei tre menzionati finora: possiede una conoscenza encicloped­ica dei suoi argomenti. Ma, soprattutt­o, Bee usa il suo incredibil­e talento per migliorare il modo in cui ci alimentiam­o, e il modo in cui la nostra alimentazi­one incide sul pianeta intero.

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