Caccia al grottesco, l’inafferrabile
Difficilmente definibile, trova spazio in tutte le arti. Ora una guida ne traccia i confini e la storia
Quante volte abbiamo usato a sproposito la parola «grottesco»? A nostra giustificazione c’è il fatto che questo concetto è così sfuggente, inafferrabile, viscido e malizioso da confondersi con mille altre categorie dell’estetica. Brutto, comico, sublime, kitsch, volgare, deridente, eccessivo, disarmonico, grandguignolesco, mostruoso, osceno, blasfemo. Forse di tutto un po’ o forse nulla di tutto ciò. Per fortuna adesso arriva questa
Guida al grottesco di Carlo Bordoni e di Alessandro Scarsella che mette ordine nel disordine mentale del grottesco (Odoya editore). Centinaia di grottesche immagini accompagnano i diciassette brevi saggi che compongono la guida.
Gli autori sono due intellettuali poliedrici che utilizzano anche i contributi di altri esperti in materia. Compreso il vecchio Victor Hugo di cui ripubblicano Il manifesto del grottesco del 1827. «Eccovi preso sul fatto! — scriveva il maestro prevedendo le parole dei suoi critici —. Dunque del “brutto” voi fate un tipo d’imitazione, del “grottesco” un elemento dell’arte!». Hugo risponde convintissimo: «Sì, certo, ancora sì e sempre sì!». E qui siamo nel cuore del grottesco inteso come arte del «brutto».
Ma il brutto non basta. Ci vuole pure il riso. Scrive Bordoni facendo riferimento anche a Karl Rosenkranz: «Il riso è determinante: scardina la sicurezza del bello, ne mette in crisi le certezze, prepara — da mediatore disincantato e provocatore — l’ingresso autorizzato del brutto nella società moderna. Il suo modello è il grottesco: un aggettivo definito “di effetto tragicomico, fondato su una voluta sproporzione fra gli elementi costitutivi di un momento drammatico” (Devoto-Oli). L’origine proviene da “grottesca”, un tipo di decorazione parietale con elementi figurativi (umani e animali) deformati in maniera fantastica uniti a motivi ornamentali, floreali, vegetali e arabeschi. Tale specialità decorativa fu rinvenuta nel Cinquecento nella Domus Aurea neroniana, i cui resti erano definiti impropriamente “grotte” e, da qui, “grottesche” le decorazioni che l’abbellivano. Per estensione il termine è stato utilizzato per definire ciò che è abnorme, falsato artificialmente, deformato, tale da suggerire un effetto ridicolo, frammisto a un senso di repulsione e d’inquietudine». Ma non basta ancora. Si potrebbe aggregare al grottesco il «sublime» (altra definizione che spesso usiamo a sproposito). Ma si rischia di fare confusione: «Il grottesco, pur se ha tratti comuni col sublime (la disarmonia, il terrore, la tragicità) non può identificarsi con esso. Principalmente per una differenza fondamentale: l’assenza di riso. Il sublime è un’emozione di tutto rispetto, non contempla il comico, non ammette la derisione. Il grottesco è un elemento incompatibile, laddove il brutto, il miserevole divengono protagonisti».
E allora, che altro? Anche un critico del grottesco, uno che lo condannava, uno a cui, ovviamente, il grottesco faceva paura come Walter Scott nel 1827 (in contemporanea quindi con la dichiarazione d’amore al grottesco di Victor Hugo) ne definisce i caratteri peculiari: «Lo spaesamento dalla realtà, il sogno, il soprannaturale come innaturale, l’alienazione, la qualità spettrale del paesaggio, l’intreccio di elementi macabri e umoristici». Che non contrasta molto, in fondo, con il motto di Hugo: «Il bello non ha che un tipo: il brutto ne ha mille». E poi la soluzione finale: «Il brutto è il bello».
Nella guida di Bordoni e Scarsella — ma chiamarla guida è molto riduttivo — vagano come coriandoli autori e personaggi che hanno contaminato la storia dell’arte, anzi delle arti, sempre in nome del grottesco: Hugo appunto, Buñuel, Belzebù, Poe, Burroughs, Petronio, Dracula, Swift e mille altri. Come tanti sono i contesti in cui il grottesco si agita. Nel teatro e nel cinema con gli esempi di La duchessa di Amalfi di John Webster o Peccato
che sia una puttana di John Ford o Titus Andronicus di William Shakespeare in cui «insieme all’elemento tragico propriamente detto o alla dimensione dell’orrore, con il loro corollario di morti violente, mani mozzate e corpi cucinati come pasticci di carne d’agnello, persiste costante un elemento grottesco molto forte e compare un rilevante numero di personaggi; situazioni grottesche... un pugno allo stomaco, una visione da shock».
È ovvio che per lo sfuggente grottesco la storia non finisca qui. La canaglia grottesca si annida dappertutto: nell’antico e nel moderno, nel barocco e nelle maschere di carnevale, nel circo e nel cinema, nel corpo e nelle fiabe, negli incubi e nel porno, nella poesia e dentro i tram, in una risata ma con i denti neri: tutto raccontato nel libro di cui abbiamo appena parlato.