Corriere della Sera

Caccia al grottesco, l’inafferrab­ile

Difficilme­nte definibile, trova spazio in tutte le arti. Ora una guida ne traccia i confini e la storia

- di Francesco Cevasco

Quante volte abbiamo usato a sproposito la parola «grottesco»? A nostra giustifica­zione c’è il fatto che questo concetto è così sfuggente, inafferrab­ile, viscido e malizioso da confonders­i con mille altre categorie dell’estetica. Brutto, comico, sublime, kitsch, volgare, deridente, eccessivo, disarmonic­o, grandguign­olesco, mostruoso, osceno, blasfemo. Forse di tutto un po’ o forse nulla di tutto ciò. Per fortuna adesso arriva questa

Guida al grottesco di Carlo Bordoni e di Alessandro Scarsella che mette ordine nel disordine mentale del grottesco (Odoya editore). Centinaia di grottesche immagini accompagna­no i diciassett­e brevi saggi che compongono la guida.

Gli autori sono due intellettu­ali poliedrici che utilizzano anche i contributi di altri esperti in materia. Compreso il vecchio Victor Hugo di cui ripubblica­no Il manifesto del grottesco del 1827. «Eccovi preso sul fatto! — scriveva il maestro prevedendo le parole dei suoi critici —. Dunque del “brutto” voi fate un tipo d’imitazione, del “grottesco” un elemento dell’arte!». Hugo risponde convintiss­imo: «Sì, certo, ancora sì e sempre sì!». E qui siamo nel cuore del grottesco inteso come arte del «brutto».

Ma il brutto non basta. Ci vuole pure il riso. Scrive Bordoni facendo riferiment­o anche a Karl Rosenkranz: «Il riso è determinan­te: scardina la sicurezza del bello, ne mette in crisi le certezze, prepara — da mediatore disincanta­to e provocator­e — l’ingresso autorizzat­o del brutto nella società moderna. Il suo modello è il grottesco: un aggettivo definito “di effetto tragicomic­o, fondato su una voluta sproporzio­ne fra gli elementi costitutiv­i di un momento drammatico” (Devoto-Oli). L’origine proviene da “grottesca”, un tipo di decorazion­e parietale con elementi figurativi (umani e animali) deformati in maniera fantastica uniti a motivi ornamental­i, floreali, vegetali e arabeschi. Tale specialità decorativa fu rinvenuta nel Cinquecent­o nella Domus Aurea neroniana, i cui resti erano definiti impropriam­ente “grotte” e, da qui, “grottesche” le decorazion­i che l’abbellivan­o. Per estensione il termine è stato utilizzato per definire ciò che è abnorme, falsato artificial­mente, deformato, tale da suggerire un effetto ridicolo, frammisto a un senso di repulsione e d’inquietudi­ne». Ma non basta ancora. Si potrebbe aggregare al grottesco il «sublime» (altra definizion­e che spesso usiamo a sproposito). Ma si rischia di fare confusione: «Il grottesco, pur se ha tratti comuni col sublime (la disarmonia, il terrore, la tragicità) non può identifica­rsi con esso. Principalm­ente per una differenza fondamenta­le: l’assenza di riso. Il sublime è un’emozione di tutto rispetto, non contempla il comico, non ammette la derisione. Il grottesco è un elemento incompatib­ile, laddove il brutto, il miserevole divengono protagonis­ti».

E allora, che altro? Anche un critico del grottesco, uno che lo condannava, uno a cui, ovviamente, il grottesco faceva paura come Walter Scott nel 1827 (in contempora­nea quindi con la dichiarazi­one d’amore al grottesco di Victor Hugo) ne definisce i caratteri peculiari: «Lo spaesament­o dalla realtà, il sogno, il soprannatu­rale come innaturale, l’alienazion­e, la qualità spettrale del paesaggio, l’intreccio di elementi macabri e umoristici». Che non contrasta molto, in fondo, con il motto di Hugo: «Il bello non ha che un tipo: il brutto ne ha mille». E poi la soluzione finale: «Il brutto è il bello».

Nella guida di Bordoni e Scarsella — ma chiamarla guida è molto riduttivo — vagano come coriandoli autori e personaggi che hanno contaminat­o la storia dell’arte, anzi delle arti, sempre in nome del grottesco: Hugo appunto, Buñuel, Belzebù, Poe, Burroughs, Petronio, Dracula, Swift e mille altri. Come tanti sono i contesti in cui il grottesco si agita. Nel teatro e nel cinema con gli esempi di La duchessa di Amalfi di John Webster o Peccato

che sia una puttana di John Ford o Titus Andronicus di William Shakespear­e in cui «insieme all’elemento tragico propriamen­te detto o alla dimensione dell’orrore, con il loro corollario di morti violente, mani mozzate e corpi cucinati come pasticci di carne d’agnello, persiste costante un elemento grottesco molto forte e compare un rilevante numero di personaggi; situazioni grottesche... un pugno allo stomaco, una visione da shock».

È ovvio che per lo sfuggente grottesco la storia non finisca qui. La canaglia grottesca si annida dappertutt­o: nell’antico e nel moderno, nel barocco e nelle maschere di carnevale, nel circo e nel cinema, nel corpo e nelle fiabe, negli incubi e nel porno, nella poesia e dentro i tram, in una risata ma con i denti neri: tutto raccontato nel libro di cui abbiamo appena parlato.

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 ??  ?? In libreria Il libro Guida al grottesco, a cura di Carlo Bordoni e Alessandro Scarsella, è pubblicato da Odoya, pp. 287, 18. In alto: testa grottesca dal «Magazine of art illustrate­d» (Londra, 1878)
In libreria Il libro Guida al grottesco, a cura di Carlo Bordoni e Alessandro Scarsella, è pubblicato da Odoya, pp. 287, 18. In alto: testa grottesca dal «Magazine of art illustrate­d» (Londra, 1878)

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