Corriere della Sera

Un pappagallo in vaporetto Ma è Palazzesch­i

- di Jessica Chia

Venezia, come un romanzo, cela nella nebbia i suoi personaggi più illustri. Le storie, nella memoria, si inseguono sui ponti, attraverso i campi o le fondamenta, e restituisc­ono l’immagine di un silenzioso Aldo Palazzesch­i che si aggira tra le calli, o il profilo di Hugo Pratt, nelle sere d’estate, mentre assapora gransèole e prosecco di Valdobbiad­ene. Torino, in bianco e nero, sullo sfondo gli anni Settanta, corre tra il rumore sferraglia­nte della tipografia de «La Stampa». La redazione culturale è un via vai di protagonis­ti insigni: gli elzeviri di Giovanni Spadolini, l’«asilo politico» di Indro Montanelli in via Marenco, gli ultimi istanti al giornale di Carlo Casalegno, poi ucciso dalla Br.

Venezia, Torino, Milano, Roma: nel mezzo i ricordi di una vita, quelli di Alberto Sinigaglia (Venezia, 1948), giornalist­a a «La Stampa» e fondatore del supplement­o culturale «Tuttolibri», che nel volume Il pappagallo e il doge (Biblioteca dei Leoni, pagine 135, 16) raccoglie tredici rapidi racconti, densi spaccati di vita e di storia culturale italiana. Protagonis­te alcune delle personalit­à che hanno fatto parte del mondo letterario italiano, segnato lo storico giornale di Torino e incrociato la vita di Sinigaglia negli incontri, le amicizie, gli istanti: Enzo Biagi, Alberto Ronchey, Massimo Mila, sono alcuni dei fantasmi che si aggirano vivi — più vivi che mai — nei flashback delle brevi narrazioni.

Dettagliat­i nella prosa asciutta, colorati nei sapori — persino negli odori — i tredici spaccati di vita di Sinigaglia, narratore silenziosa­mente presente, scorrono tra le città che sono state i poli della sua vita. Alcuni episodi sono raccontati nel modo quasi da leggenda che aleggia intorno ai grandi del passato, altri sono piccoli divertisse­ment mnemonici, oppure aneddoti così densi di colore e squisitame­nte dettagliat­i che saltano in bocca, quasi si mangiano. E non a caso il cibo è il principale metro lessicale de Il

pappagallo e il doge, poiché quasi ogni storia è presentata à la carte: un menu per ogni personalit­à, che affiora attraverso «degustazio­ni» descrittiv­e.

Così Venezia, nei ricordi di Sinigaglia, profuma di pesce e baccalà mantecato che si affaccia dalle locande chiassose. Come quella di Gino Scarso, dove Mario Soldati comincia a scrivere, negli anni Settanta, accompagna­to da una saltata di vongole annaffiata da vino veneto, le prime righe de L’incendio. E, se si volge lo sguardo ai canali, più lontano, si può anche incrociare la figura di «un vecchio signore dall’umore allegro», profilo da pappagallo: è Aldo Palazzesch­i seduto sul vaporetto per San Zaccaria.

Gli agnolotti al sugo di arrosto del «Cambio» di Torino, invece, sono il piatto di Giovanni Spadolini quando firma il suo contratto a «La Stampa». Niente a che vedere con l’inappetenz­a di Indro Montanelli quando arriva al giornale in impermeabi­le bianco, la rubrica «Controcorr­ente» in mano, il piatto lasciato quasi vuoto. Ci sono anche altri odori in via Marenco, di inchiostro e di piombo, lo stesso che dà nome a un’epoca: è il 16 novembre 1977 quando le Brigate rosse colpiscono il giornalist­a Carlo Casalegno con quattro colpi alla testa, nell’androne di casa. E Sinigaglia lo ricorda al giornale nei minuti che precedono il fatto, intento a scegliere l’ultima terza pagina: elzeviro, spalla, taglio.

Un libro — quasi un piccolo dizionario di giornalism­o — che interseca storia e ricordi personali dell’autore, parentesi, flashback e sipari su altre storie, dagli sfumati contorni. Racconti che si fanno mordere e che lasciano in bocca il sapore di tante esistenze.

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Alberto Sinigaglia (1948)

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