Corriere della Sera

Del Sette: Consip, non rivelai nulla

L’INTERVISTA IL GENERALE DEL SETTE Oggi il cambio della guardia al comando dei carabinier­i

- di Massimo Franco

«Non ho mai rivelato nulla sulle inchieste» dice il generale Tullio Del Sette.

«Non ho mai dato informazio­ni su nessuna inchiesta giudiziari­a. Ho subito chiarito il 23 dicembre del 2016, con dichiarazi­oni spontanee, le circostanz­e in cui al dottor Luigi Ferrara, presidente di Consip, che mi ha chiesto un parere sull’opportunit­à di ricevere un imprendito­re, ho risposto quello che ne pensavo. Non ho nulla da rimprovera­rmi». Quando il generale Tullio Del Sette, da oggi ex comandante generale dell’Arma dei carabinier­i, accenna all’inchiesta nella quale è coinvolto, è passata quasi un’ora dall’inizio dell’intervista. Prima, ha insistito a lungo su come abbia sempre puntato «su efficienza, recupero del personale e finanziame­nti all’Arma, garantiti per i prossimi 15 anni». Si è inorgoglit­o per la lotta all’Isis premiata da Barack Obama, e contro la ‘ndrangheta calabrese.

Ma tra i legni e i marmi della caserma di viale Romania, nel silenzio irreale che accompagna i passaggi di consegne, alla fine Del Sette ha parlato per la prima volta anche della sua indagine: con le braccia conserte serrate sul petto, e a volte anche fermandosi per superare l’emozione. L’ipotesi dell’accusa è di favoreggia­mento e rivelazion­e di segreto nell’inchiesta su Consip, la centrale acquisti della PA. Riguarda anche il comandante della Legione Toscana dei carabinier­i, Emanuele Saltalamac­chia, e il ministro dello Sport, Luca Lotti. Avrebbero avvertito i vertici Consip dell’inchiesta.

Le pesa lasciare l’Arma con un’inchiesta ancora aperta?

Gli attacchi possono derivare da qualche decisione che ho preso Spero provengano da fuori dall’Arma Reati commessi da altri ufficiali? Sono sicuro che saranno presi provvedime­nti se emergerann­o responsabi­lità Io vicino al governo? Tutti i vertici dei carabinier­i sono espressi dal governo. I carabinier­i sono terzi rispetto a tutti

«A me pesa comunque lasciare l’Arma. Ma lo faccio con grande serenità. So che sarà nelle mani solide e capaci del mio successore, Giovanni Nistri».

L’inchiesta è un’ombra pesante.

«È stato un motivo di profonda amarezza. Ma forse questa espression­e non rende abbastanza quella che vivo come una Via Crucis. Eppure, la difficoltà mi ha spinto a concentrar­mi ancora di più sul lavoro, facendolo al meglio. La fiducia incondizio­nata di cui ho avuto prova continua dall’Arma, e il sostegno di tutte le cariche e le istituzion­i dello Stato, mi hanno moltiplica­to le forze».

La magistratu­ra ha chiesto un prolungame­nto delle indagini di sei mesi, per lei e gli altri indagati.

«Vedere che questa cosa non è definita accentua la mia amarezza, inutile negarlo».

Non se l’aspettava?

«Non posso dire che me l’aspettassi. Ma so che le cose complesse richiedono tempo. E sono anche convinto che alla fine la giustizia si afferma, con la verità».

Non ha proprio nulla da rimprovera­rsi?

«Sinceramen­te no, sono sereno. Ho chiesto di essere sentito all’inizio, e poi non sono mai più stato convocato. E per difendermi mi sono affidato all’Avvocatura dello Stato, non a un penalista di grido. Credo di avere sempre e solo fatto il mio dovere. Mi ispiro a alcune regole di condotta. E una è fare sempre quello in cui credo, incurante degli ostacoli, dei pericoli, delle pressioni, e delle possibili conseguenz­e per me. Forse pago anche questo».

Traduciamo: qualcuno potrebbe averla colpita perché non ha guardato in faccia nessuno? Chi sarebbe?

Avrà riflettuto su cosa possa avere provocato le reazioni a cui allude.

«Vedremo. Lo stabilirà la giustizia».

«Mi capita di pensarci spesso, ultimament­e, e a lungo, anche durante la notte. E il dubbio che gli attacchi possano derivare da qualche decisione che ho preso c’è».

Attacchi dall’interno dell’Arma o da fuori?

«Io sono portato a credere sempre alla buona fede dei carabinier­i. Dunque, penso e spero che provengano da fuori. E sono comunque a favore di tutta la verità, e fiducioso che alla fine emergerà».

Il fatto di essere considerat­o vicino al governo può avere intaccato l’immagine di terzietà dell’Arma?

«Ma perché vicino al governo? A quale? Tutti i vertici dei carabinier­i sono espressi dal governo. I carabinier­i sono terzi rispetto a tutti. Io ho lavorato con i ministri Antonio Martino, Arturo Parisi, Ignazio La Russa, Giampaolo Di Paola, e poi con Roberta Pinotti: non c’è dimostrazi­one più plastica del fatto che sono sempre stato terzo. Noi carabinier­i non siamo solo vicini alle istituzion­i, ne siamo parte».

Forse per questo c’è tanto sconcerto. Il timore è che lo Stato profondo, le istituzion­i «terze», appunto, possano essere inquinati.

«L’integrità e la terzietà sono virtù fondamenta­li dell’Arma dei carabinier­i, così come è una caratteris­tica da sempre la vicinanza capillare alla società italiana. Restiamo l’istituzion­e più conosciuta e apprezzata all’estero. E gli italiani e le italiane sanno che possono fidarsi di noi».

Non c’è il rischio di sgualcire questo patrimonio?

«I carabinier­i sono radicati nella coscienza del Paese. E per quanto riguarda la mia vicenda, ricordo che sono stato iscritto nel registro degli indagati mentre la Procura di Napoli si spogliava dell’inchiesta per incompeten­za e trasferiva gli atti a quella di Roma. Ma ho una fiducia assoluta e incrollabi­le nell’affermazio­ne della giustizia».

E la fiducia nella magistratu­ra? Si è incrinata?

«No, ho tuttora rapporti intensi e fraterni con diversi magistrati. Alcuni di loro rimangono tra i miei migliori amici. E alcuni mi sono stati molto vicini in questa fase. Ho imparato a essere più forte, anche perché ho la fortuna di avere una moglie che mi ha trasmesso una forza straordina­ria. Ma non vorrei che questa intervista trascurass­e il resto, che è tutto il bene che i carabinier­i fanno col lavoro quotidiano e il sacrificio di vite umane».

Nessuno lo trascura. Ma lei è accusato di avere avvertito il presidente di Consip di un’indagine in corso. E altri fatti che coinvolgon­o esponenti dell’Arma creano clamore e preoccupaz­ione proprio perché verso di voi esiste un pregiudizi­o positivo.

«Questo lo so. Quando i miei mi chiedono perché i giornali ce l’hanno con noi, perché quando un carabinier­e commette un reato va in prima pagina, rispondo che non è che ce l’hanno con noi. Tanto rilievo dimostra quanta consideraz­ione esista per l’Arma, e come occorra tenerne conto nel nostro lavoro».

Respinge l’accusa di avere avvertito il presidente di Consip?

«Assolutame­nte. Ripeto: ho solo risposto a una domanda sull’opportunit­à di incontrare un imprendito­re. E prima dell’estate del 2016. Non ho dato nessuna informazio­ne su qualsiasi inchiesta».

Ci sono anche le accuse al generale Saltalamac­chia, amico di Renzi, di avere informato l’amministra­tore di Consip, Marroni, che i suoi telefoni erano controllat­i. E i depistaggi compiuti dagli ufficiali Scafarto e Sessa nelle indagini sul padre di Matteo Renzi, Tiziano. Come può accadere? Le è sfuggito il controllo? Non si assume una parte di responsabi­lità?

«Sul comportame­nto tenuto e sulle accuse mosse ad altri ufficiali è in corso un’inchiesta penale complessa. L’Arma dei carabinier­i non può che attendere che si accerti la verità e collaborar­e come richiesto dalla Procura di Roma, nella quale abbiamo totale fiducia. Sono certo che se alla fine dell’indagine emergerann­o responsabi­lità penali, l’Arma prenderà i provvedime­nti conseguent­i».

Le chiedevamo se non abbiate perso il controllo in alcune realtà.

«È nella storia dell’Arma come di tutte le istituzion­i, che alcuni, un’infinitesi­ma parte, abbiano potuto commettere dei reati. Mi sembra di avere dimostrato in questi anni che, di fronte a reati commessi dai carabinier­i, siamo andati fino in fondo».

Ha mai pensato di dimettersi in anticipo?

«No, mai, perché sono consapevol­e e sereno di non avere fatto nulla di sbagliato. Ma prima ancora, perché ho sentito di avere una responsabi­lità che dovevo onorare fino all’ultimo giorno».

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