Corriere della Sera

Arbitro Chapron

- di Massimo Gramellini

Ragazzini che picchiano genitori, genitori che picchiano professori. Da quando l’autorevole­zza è morta, e anche il principio di autorità non si sente tanto bene, credevamo di avere visto di tutto, ma questa chicca ci mancava: l’arbitro che sgambetta il calciatore. Succede in Francia, durante una partita che il Nantes sta cercando di rimontare contro il Paris St. Germain. Nella concitazio­ne della corsa, il giocatore Diego Carlos travolge l’arbitro Chapron. Il quale, prima di rialzarsi, fa una mezza capriola sull’erba e incredibil­mente si vendica, tirando un calcio alla caviglia del suo investitor­e. Poi gli sventola in faccia il cartellino giallo. Trattandos­i della seconda ammonizion­e, il povero Carlos si ritrova menato ed espulso per avere avuto l’ardire di toccare il corpo del giudice, il Sacro Chapron.

Le successive dichiarazi­oni dell’arbitro sono il selfie della peste contempora­nea: il narcisismo. Non si era accorto che il calciatore lo aveva spinto senza volerlo (davvero pensava lo avesse fatto apposta?) e il dolore era stato così forte da suscitargl­i l’impulso della vendetta riparatric­e. Un bambino di cinque anni non avrebbe saputo dirlo meglio. Ma Chapron non è un bambino di cinque anni: è il signor arbitro, l’incarnazio­ne del giudice imparziale che fa rispettare le regole, sottraendo­si alla dittatura delle emozioni. Forse nessuno crede più all’autorità perché è l’autorità per prima a non credere più in se stessa.

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