Corriere della Sera

Il bambino e quel silenzio innaturale dopo la Bomba

- di Paolo Salom

Un’immagine vale più di mille parole. Così papa Francesco ha presentato lo scatto del bambino in attesa di consegnare il corpo del fratellino morto alla pira che lo trasformer­à in cenere. Non è l’unica fotografia a raccontare la doppia tragedia di Hiroshima e Nagasaki. In quei giorni terribili che hanno chiuso l’estate del 1945, il Giappone è stato percorso da un’armata di fotografi e cameraman al seguito delle truppe americane. Ma il bambino di Nagasaki, il cui sguardo parla a tutti noi con una forza pari soltanto al suo apparente stoicismo, emerge dalle carte dell’epoca per la sua straordina­ria attualità. L’autore, Joe O’Donnell (scomparso nel 2007), aveva soltanto 23 anni quando si trovò a documentar­e quanto accadeva alle porte della città giapponese devastata dalla seconda atomica il 9 agosto 1945. «Vidi un ragazzino di circa 10 anni — disse in seguito — che portava sulle spalle un bimbo più piccolo, come spesso accadeva nel Sol Levante, la testa reclinata quasi si fosse assopito all’improvviso. Dopo una decina di minuti, degli uomini con le maschere bianche sciolsero i lacci per prenderlo: solo allora capii che era già morto. Il fratello rimase immobile e osservò il rogo mordendosi le labbra fino a sanguinare. Poi si girò e si allontanò in silenzio». Ecco: quel silenzio, il silenzio innaturale che seguì le deflagrazi­oni nucleari, racchiuso in un’immagine, dice più di mille parole che cosa ci aspettereb­be se qualcuno deciderà mai di schiacciar­e il bottone: grosso o piccolo che sia.

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