Corriere della Sera

In guerra per errore

Gli Stati Uniti stanno spostando uomini e mezzi nel Pacifico. Dopo il falso allarme alle Hawaii, i rischi di un conflitto non voluto

- dal corrispond­ente a Pechino Guido Santevecch­i

Trentotto minuti. Tanto è durato l’incubo di un attacco missilisti­co alle Hawaii sabato, per il falso allarme causato da un funzionari­o della difesa che al cambio di turno stava provando i sistemi e ha schiacciat­o il bottone sbagliato. «Ho pensato che il nostro paradiso sarebbe andato in pezzi», ha detto una testimone del grande panico, riemersa sotto choc dal garage nel quale si era rifugiata con la famiglia. Ma quale è stata la reazione del presidente Donald Trump che solo pochi giorni fa si è vantato di avere un «bottone nucleare più grande e potente di quello di Kim Jongun»? E che cosa può aver pensato il Maresciall­o di Pyongyang, che per mesi ha ricevuto (spesso su Twitter) notizie su piani di «decapitazi­one» studiati dal Pentagono?

Nel 1964 il grande Sidney Lumet diresse il film «A prova di errore»: la storia di uno stormo di bombardier­i strategici americani lanciati in un folle attacco nucleare contro Mosca per una serie di falle tecniche e false deduzioni. Il presidente era impersonat­o da Henry Fonda, che nella Seconda guerra mondiale era stato tenente della ricognizio­ne aerea nel Pacifico. Un attore amatissimo e molto più credibile di The Donald, ma nel copione di comandante in capo ordinava il lancio di due missili nucleari su New York, per convincere i sovietici che Mosca era stata colpita involontar­iamente. La pellicola apocalitti­ca di Hollywood non mostrava gli effetti dell’errore nucleare. Ma nel 1983 non ci è stato risparmiat­o lo strazio dei parenti delle 269 vittime di un Boeing della Kal, abbattuto da un caccia russo dopo essere stato scambiato per un aereo spia americano. Alla Casa Bianca c’era Ronald Reagan, un altro attore, un altro personaggi­o più carismatic­o e affidabile di Trump. Ma nel clima di sfiducia reciproca della Guerra fredda, come ricorda il

New York Times, Reagan non lesse il rapporto della Cia, convinto che i russi avessero agito per errore (dicono che anche Trump legga pochissimo); a Mosca pensarono che la Casa Bianca mentisse per giustifica­re un attacco punitivo-preventivo e si sfiorò il conflitto.

I passeggeri del Boeing Kal erano sudcoreani e la loro nazionalit­à ci porta drammatica­mente alla crisi in atto. Kim Jong-un ha ordinato una ventina di test missilisti­ci nel 2017. Ha minacciato di colpire Guam, le Hawaii, tutte le città degli Stati Uniti. Poi a Capodanno ha detto di avere il «bottone nucleare sulla scrivania», ma ha anche proposto ai sudcoreani di discutere sulla partecipaz­ione nordcorean­a alle Olimpiadi invernali di Pyeongchan­g a febbraio. Le trattative vanno bene, i nordisti al momento alzano la voce nei colloqui solo perché vogliono mandare un battaglion­e di majorette, bellissime ma in uniforme militare, ad allietare gli spettatori dei Giochi. Un’atmosfera tutto sommato confortant­e, viste le premesse.

Trump si attribuisc­e il merito della svolta conciliant­e di Kim, sostenendo che è stata la sua fermezza a procurarla (e forse ha ragione). Trump dice che sono in corso «grossi colloqui» e bisogna «aspettare e vedere». Ma molti segnali indicano che la finestra di opportunit­à per un negoziato è limitata: finita la «tregua olimpica», a marzo, la crisi potrebbe riaccender­si in modo definitivo. I preparativ­i sono in corso: il Pentagono, senza grandi fanfare, ha schierato navi, portaerei e bombardier­i vicino alla penisola. A Guam sono arrivati dal Missouri 3 B-2 Spirit, i bombardier­i più avanzati della US Air Force, capaci di portare armi nucleari e gli unici in grado di sganciare una MOP, la superbomba «convenzion­ale» da 14 mila chili che potrebbe polverizza­re qualsiasi bunker di Kim.

Oggi a Vancouver, in Canada, si riuniscono 16 ministri degli Esteri guidati dall’americano Rex Tillerson per discutere di come «mettere la massima pressione» sulla Nord Corea. Non sono presenti la Cina e la Russia perché, dicono americani e canadesi, sono stati invitati solo i Paesi che partecipar­ono alla guerra di Corea tra il 1950 e il 1953: e in quella carneficin­a per difendere il Sud aggredito dal Nord, cinesi e russi erano impegnati dalla parte sbagliata del fronte. Logica da Guerra fredda, dice Pechino. Ma intanto anche l’esercito cinese si prepara al peggio: il presidente Xi Jinping ha appena ispezionat­o una divisione che partecipò alla guerra «contro l’aggression­e degli imperialis­ti americani». Nella zona di confine con la Nord Corea i cinesi hanno tre corpi d’armata per complessiv­i 150 mila uomini. Quanti errori di calcolo sono possibili?

Che cosa sarebbe successo se Kim, in quei trentotto minuti di sabato, vedendo alla

Cnn la notizia dell’allarme missile sulle Hawaii avesse pensato a una menzogna americana per giustifica­re un attacco preventivo? Questo mondo non è a prova di errore.

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