Eni-Algeria, il Libano non risponde alla rogatoria
Sta in Libano la chiave del processo sulle contestate tangenti Saipem in Algeria, 197 milioni nel 2007-2010 tramite l’intermediario Farid Bedjaoui, latitante da 5 anni a Dubai. In una consulenza difensiva (Eni, Saipem e l’ex n.1 di Eni Paolo Scaroni sono tra gli imputati), Kpmg esclude diretti flussi finanziari tra Saipem, Bedjaoui e 97 personalità algerine tra cui l’ex ministro dell’Energia algerino, Chekib Kelil. E ieri lo ribadisce anche la consulente di Bedjaoui, Paola Chiaruttini, pur precisando — a domanda del pm Isidoro Palma — di aver lavorato (come Kpmg) solo sugli atti processuali, senza aver ricevuto ulteriori carte da Bedjaoui, titolare dei conti che ben avrebbe potuto portarli per dimostrare l’assenza di fili tra Saipem e due bonifici: 1,7 milioni nel 2007 e 600.000 dollari nel 2008 dal conto di Bedjaoui presso la Banca Audi Saradar a un conto negli Stati Uniti, sospetto perché (pur intestato a un burocrate) su esso aveva la procura a operare proprio la moglie del ministro dell’Energia, acquirente negli Usa di due case. I legali di Bedjaoui portano una lettera della banca che assicura quel conto mai alimentato da soldi Saipem: ma, se il Libano continua a non rispondere alla rogatoria dei pm su tutti i conti libanesi di Bedjaoui, la lettera (risposta della banca a una richiesta dell’ex avvocato di Bedjaoui) non basta a escludere che per pagare i politici algerini Bedjaoui abbia attinto al proprio complessivo «portafoglio» libanese alimentato in ipotesi anche dai soldi di Saipem. Si precisa, invece, il numero di mail che la difesa del manager Tali segnalava non trovate dai pm con le parole-chiave: su 26, 8 c’erano e 18 no.