Da Igor il russo al delitto Macchi Quei reperti distrutti dai magistrati
Il dibattito: «Tenerli, la scienza si evolve». E oggi nuova perizia per la strage di Erba
Oggi la Corte d’Appello di Brescia disporrà l’affidamento della perizia sui reperti della strage di Erba (11 dicembre 2006) che la difesa ritiene non siano stati presi in esame, ai fini dell’incidente probatorio ammesso dalla Cassazione che potrebbe aprire le porte alla revisione del processo.
Saranno nominati i periti incaricati di esaminare reperti mai analizzati sul luogo della strage. «Il presidente della Corte d’appello di Brescia, Enrico Fischetti, affiderà al Ris di Parma gli accertamenti su alcune formazioni pilifere e su un’impronta palmare su un muro, un accendino, una tenda e un mazzo di chiavi mai analizzati», afferma il legale di Olindo Romano e Rosa Bazzi, Fabio Schembri. Reperti, che hanno rischiato di essere distrutti — come prevede la legge — dopo il passaggio della sentenza in giudicato.
A prescindere dal caso Erba, la vicenda evidenzia un tema molto più ampio: il nodo della confisca e distruzione dei reperti giudiziari, sempre più problematica in quanto le tecniche di analisi e di indagine si evolvono velocemente e gli stessi reperti, anche solo pochi anni dopo, possono rivelare dati di enorme importanza. I reperti di Erba si sono salvati (dopo una feroce battaglia giudiziaria che ha visto l’intervento della Cassazione), ma altri importanti reperti sono andati distrutti in molti casi clamorosi. Tra questi il delitto Macchi: i vetrini sono stati distrutti e solo la riesumazione del cadavere ha permesso adesso di trovare nuovi indizi. Anche nel caso di Igor il russo i reperti della rapina di Villanova di Denore sono stati distrutti: allontanando l’identificazione del killer. Pure per la vicenda di David Rossi, il manager di Montepaschi morto in circostanze misteriose precipitando da una finestra il 6 marzo 2013, alcuni reperti sono andati distrutti (ieri la moglie Antonella Tognazzi e il giornalista del Fatto Davide Vecchi sono stati assolti per la pubblicazione di alcune mail di Rossi, ndr). La lista è lunga, con esempi eclatanti. Nel caso del delitto dell’Olgiata del ‘91, risolto vent’anni dopo, a incastrare il domestico filippino è stato il Dna trovato sul lenzuolo usato per strangolare la donna e analizzato da Ris nel 2011; così come una intercettazione del filippino che fu trascurata. «Se quei reperti fossero andati distrutti il caso sarebbe irrisolto», dice l’avvocato Schembri. «La Cassazione il 5 aprile 2017 ha affermato che si può procedere all’incidente probatorio anche prima della revisione del processo: crea così un principio estendibile a molti casi».
Un magistrato come Luca Tescaroli, sostituto Procuratore a Roma e titolare di inchieste importanti. osserva: «La confisca e la distruzione dei reperti segue le sentenze passate in giudicato. Se ci sono esigenze peculiari il giudicante deve essere sollecitato a conservare i reperti. Nei casi irrisolti i reperti devono essere conservati». Detto questo, «la disciplina della materia è complessa: l’evoluzione delle tecniche di analisi, a partire dai progressi sul Dna, crea spazio per una riflessione sulla normativa».
Il penalista Alessandro Continiello, giurista del foro di Milano che per una rivista scientifica ha analizzato il caso Erba, spiega: «La pronuncia della Suprema Corte ci dice implicitamente che sarebbe opportuno conservare — anche nel caso di procedimento definitivo — i reperti: le evoluzioni scientifiche consentono di analizzare elementi che, nel passato, era tecnicamente impossibile vagliare. E poi la revisione processuale è sempre, astrattamente, possibile».
Olindo e Rosa Gli esperti valuteranno un’impronta, una tenda, chiavi e altri oggetti mai analizzati